venerdì 25 ottobre 2013

Stoner (John Edward Williams)

Diventa grigia l'aria, il colore dei mobili, si ingrigiscono i pensieri, le paure ed altri sentimenti vari ed eventuali. Non c'è spazio, per altri colori, pare. Lui lo sa, combatte, vince, perde, insomma, diciamocelo, VIVE. Tutto nell'ambito variegato, multiforme e al di là del velo squarciato, sorprendente che oscura la sua vita e quella degli altri. 
Perché tutti alla fine, siamo stati un po' Stoner, oppure stonati, tutti a lungo, per un attimo o magari tutta l'esistenza. E solo seguendo passo passo le sue vicende capiamo che sì certe volte ne è valsa la pena, altre no.




Cinquanta (e più) sfumature di grigio

"Stoner" di John Williams è uno di quei libri che misteriosamente dimenticati all'uscita ma che hanno avuto una meritata e stupefacente gloria decenni dopo. A dimostrazione che le scritture di qualità non hanno una scadenza temporale come i prodotti preconfezionati.

Una moglie psicopatica, se non peggio, monomaniacale, frigida, debole, mai violentata eppure sempre in preda alla sue violenze. Sostanzialmente non soddisfatta, di quelle che che gridano, si arrampicano sugli specchi, nascondono. Colleghi sanguisughe, vendicativi, ambiziosi a tutti i costi. Un mondo come tanti altri, come tutti gli altri mondi, ovvero duro ostile, cinico, crudele. E sogni, tanti piccoli grandi sogni che si sgretolano al minimo contatto con il reale. Non si può vincere, davvero. Al massimo pareggiare.

Stoner è nato dalla campagna, intesa in senso buono, genitori dediti al semplice, ineluttabile ciclo delle stagioni e dei raccolti. Nati per sopravvivere insomma. Li ha traditi, se vogliamo, quei due soldi dati per l'università non lo porteranno ad essere un tecnico dell'agricoltura, ma un mesto, ministro della Letteratura, quella cosa cui tutti aspirano, cui tutti hanno sentore ma che non produce né crediti né debiti, soprattutto è avara di stipendi. Tutto questo mentre gli Usa vanno in guerra, laggiù in Europa hanno deciso di scannarsi in nome di chissà cosa, ba bisogna combattere in nome della giusta e vincente democrazia. Che poi tutto non sarà così. Va bene, lui lo sa. O arriverà a saperlo. Gli uomini normali (anche le donne) ci arrivano dopo, molto dopo.

Stoner non capisce, a volte, ma capire tutto, il tutto è impossibile. Affronta la vita e quando perde lo subisce, in tutte le sue svariate e drammatiche conseguenze.Un grande. Uno che scivola, scende, precipita, ma non si sgretola, come una vera roccia non friabile.
Sono grigi gli sguardi, gli occhi, i sorrisi e le parole. Diventa grigia l'aria, il colore dei mobili, si ingrigiscono i pensieri, le paure ed altri sentimenti vari ed eventuali. Alla fine, siamo stati un po' Stoner,  per un attimo, tutta la vita. E solo seguendo passo passo le sue vicende capiamo che sì certe volte ne è valsa la pena, altre no.
Il romanzo di Williams, uscito per la prima volta nel 1965 ma solo di relativamente recente riabilitato e oggetto di un passaparola travolgente è in poche parole sublime quanto pacato, capace di recare vertigini e stupefacenti rivelazioni. Dall'aria minimalista, fragile e semplice, eppure che regala "interminati spazi e sovrumani silenzi" per dirla alla Leopardi
La vita di questo professore universitario che non ottiene mai ciò che vuole, nasce nella dura e instabile consapevolezza di dare, nei limiti del possibile, ascolto agli altri, quelli che non ce le fanno, quelli che arrivano ma insomma, ansimano, oppure le donne. Già le donne. Essenziali, indomite e necessarie compagne. Quando ti capita la fortuna che siano con te e non altrove, quando hai la capacità di tenerle e non mandarle via, quando. Quando, appunto. E la moglie di Stoner sarà poco, forse nulla, troverà alla fine un fugace e drammatico pertugio da cui uscire. Perché certe donne son questo, come certi uomini. Pochezza, instabilità, egoismo. Ha una prosa molto lineare. La trama, se ci si limita a elencare i suoi elementi, può suonare molto noiosa e un po' troppo triste. Ma di fatto è una vita minima da cui John Williams ha tratto un romanzo davvero molto bello. Ed è la più straordinaria scoperta per noi fortunati lettoriha dichiarato di recente a Repubblica lo scrittore Ian Mc Ewan,  non perché il suo parere possa dettare legge o sia più autorevole di altri, ma perché in poche parole elenca concetti basilari per parlare di questo romanzo.

Sono quelle quelle vite che non vanno bene eppure si vivono, perché ci piace fare il professore universitario precario, il padre, il marito ma poi tutto si rivolta contro, paiono tutti più forti, fieri, liberi, invece sono solo meri avvoltoi e per quanto volano, cadranno, inesorabilmente. Qualcuno dice che lui sia un perdente. Io vi dico che talvolta è meglio perdere, anche tutto, per essere vivi. Se non altro da vivo non hai bisogno di resuscitare.

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Pubblicata su www.ciao.it il  29.10.2013


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