Si può scrivere decentemente di tutto. Anche come addormentare il
caos.
Come tutti i libri, anche questo romanzo di Sandro Veronesi può (o
non può) avere diverse letture, interpretazioni, messaggi evidenti o altri
criptati. Ad anni di distanza dalla sua lettura io credo che il suggerimento
principale, metodicamente e brillantemente portato avanti nel testo è
l'impossibilità di continuare a pensare di poter cavalcare il folle mare delle
possibilità che la vita offre e ti addossa sulle spalle e ti spinge nel cuore.
Che insomma, seppur abbiamo disordini ed entropie varie che ci agitano corpo ed
anima e cervello, la prima cosa è capire che non sempre fermarsi significa
perdere oppure alzare bandiera bianca. A volte è solo e semplicemente salutare,
mettere un punto ed andare a capo, assimilando la nostra vita a pagine scritte che
riempono fogli bianchi su fogli bianchi, cioè i nostri giorni, i nostri
pensieri.
La storia raccontata, è presto detta. Un brillante ultra quarantenne perde
tragicamente la moglie e il caos interiore, abilmente dissimulato a tutti
tranne che a sé stesso, lo porteranno a singolari scelte di carattere quasi
radicale e dai risvolti tra il grottesco ed il surreale. La prima radicale e
via via definitiva scelta è quella di insediarsi su una panchina posta davanti
alla scuola frequentata dalla piccola figlia. Il protagonista ha bisogno di
fermarsi. accettare/ ri-comprendere aspetti del rapporto con la moglie
scomparsa elusi, delusi o disillusi. Porre dei paletti invalicabili al rumore
ed all'invadenza del suo lavoro di manager in carriera, riprendere a curare i
particolari, ad assaporare le parole dette o non dette, dare insomma corpo alla
superficialità che ha indossato per anni e che per ora scopre gli stia stretta,
che gli procura freddo negli inverni del cuore e troppo caldo nelle primavere
dei suoi nuovi pensieri.
In cotale minimale luogo di pemanenza, si recheranno in pellegrinaggio
colleghi, superiori, parenti e semplici passanti (poetici e fiabeschi nella
loro normalissima quotidianità, come il portatore di handicap che viene
salutato quotidianamente con una lampata dei fari della macchina o la bella ed
enigmatica ragazza che gli sorride mentre porta a spasso un gigantesco cane)
che lo aiuteranno a cambiare prospettiva su se stesso e sulle cose del mondo
(un po' alla Baron Cosimo che sale sugli alberi nel "Barone rampante"
di Calvino).
Esilaranti i famigliari, la nuora ed il fratello, talmente attorcigliati e
frettolosi, nell'amore come nel sesso, nelle spese come nel lavoro, da divenire
un esemplare contraltare.
Drammatici, quasi macchiette didascaliche, le comparse di colleghi e superiori
del lavoro. Tutti con poco tempo e nello stesso momento nella affannata ricerca
di una redenzione, di una meta, di una convinzione, di un ideale.
Corollario e apice di tale appartamento insolito, è l'avventura fuori dalle
righe con una facoltosa signora d'altobordo, da lui salvata da annegamento
proprio mentre la moglie moriva. E poi finale a sorpresa che però scioglie in
un unico significato il senso dell'opera.
Qualcuno saprà del clamore e del successo del film omonimo tratto dal testo,
con Moretti protagonista e Grimaldi regista. Già, lo so. Prendendo spunto dalla
pellicola immaginate da parte mia una magari colta disquisizione sul sesso,
dove eventualmente io prendo parte contro l'ennesima invasione di campo di
Chiesa e cattolici che a partire da alcune scene di nudo in questo film si sono
indignati e hanno invocato più moralità. Sicuro, edificante ed esilarante
"tragico" siparietto sull'Italietta di oggi. O magari una dettagliata
analisi delle famose terga esibite dal mattatore di questo film, ovvero Nanni
Moretti. Una politicizzata disamina. Se il suo posteriore è incredibilmente di
destra. O più blandamente di sinistra arcobaleno o addirittura clamorosamente
di centro. Se fa girotondo oppure no.
Però deluderò le attese. Perchè la tanto acclamata componente sessuale e
libidinosa e quant' altro è forse l'unica cosa che nel film manca quasi del
tutto e rispetto al testo da cui è tratto parecchio attenuata ed ammorbidita,
quasi frettolosa. Gli ansimi in sala all'inizio della scena di nudo mi
sottolineano che la evidente campagna pubblicitaria mass-mediatica sullo
spezzone ha comunque colto nel segno. E rimarco tuttavia che questo bel film è
una perfetta trasposizione dell'ottimo romanzo omonimo di Sandro Veronesi. Non
lo tradisce quasi mai, nella sceneggiatura e nella scelta e personificazione
degli attori.
Diverge fortemente proprio nel rapporto fra Moretti ed la ricca e annoiata
signora altolocata (la Ferrari), sia nella importante scena iniziale (mal
girata, direi), sia appunto nel famoso rapporto contro natura verso la fine del
film. Credo che trattasi di una scelta, più che di una improbabile svista.
C'è subito da dire che mentre nel testo l'io narrante è dimidiato e pensoso e
lascia trasparire la sua crisi interiore che gli fa scorrere i suoi tanti
piccoli egoismi, nel film Moretti assurge a figura meno problematica e più
emblematica, di colui che ad un certo punto e date certe concause, ridiscute
tutto scegliendo nessun compromesso ma solo una propria più matura libertà di
pensiero ed azione riscoprendo sentimenti e valori perduti oppure semplicemente
bambinescamente elusi.
Per questo vi evidenzio che secondo me, tutto sommato, sia libro che film
sottendono alla riflessione che riportavo in premessa: camminiamo per le strade
della nostra vita con sguardo accecato ed orecchie sorde, calpestiamo piccoli e
grandi sentimenti altrui, inciampiamo in grandi e piccole amarezze senza
cercare di evitarle, ci rendiamo soli anche quando non lo siamo perchè ci
dimentichiamo l'anima e soprattutto dimentichiamo di ascoltare gli altri.
Amore, amicizia sono soprattutto ascolto, per dirsi compiuti, sani, immuni alle
ruggine e alle storpiature del tempo.
In questo senso allora, è accurato l’intervento chirurgico del protagonista a
posteriori, volto ad analizzare, comporre o scomporre i tanti "prima"
della sua vita che si è lasciato sfuggire o da cui si è lasciato imprigionare
senza nemmeno rendersene conto. Ad una certa età certo non si rinasce,
impossibile, anche se in piena epoca di rifacimenti plastici e a prezzo quasi
modico. Ma si può ancora sterzare dal sentiero impervio che si è imboccato
quasi per sbaglio e svoltare verso una nuova autostrada per un quasi paradiso
senza per forza accelerare o trovare troppo traffico.
Rimane il fatto che Veronesi io lo leggo dagli anni novanta, ai tempi dei suoi
esordi. Con questo romanzo ha probabilmente raggiunto una maturità stilistica e
contenutistica che lo fanno apprezzare in maniera davvero convinta. Non scrive
capolavori e talvolta in lui non c'è ombra nemmeno della genialità. Solo che sa
scrivere, compone storie e in questo caso la fa divenire talmente ammiccanti e
vere, pur nel nella loro apparente giocosa surrealtà, che è un peccato non
leggerlo.
Malinconico ma non struggente,
vero
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