martedì 4 novembre 2014

Caos calmo (Sandro Veronesi)

Si può scrivere decentemente di tutto. Anche come addormentare il caos.

Come tutti i libri, anche questo romanzo di Sandro Veronesi può (o non può) avere diverse letture, interpretazioni, messaggi evidenti o altri criptati. Ad anni di distanza dalla sua lettura io credo che il suggerimento principale, metodicamente e brillantemente portato avanti nel testo è l'impossibilità di continuare a pensare di poter cavalcare il folle mare delle possibilità che la vita offre e ti addossa sulle spalle e ti spinge nel cuore. Che insomma, seppur abbiamo disordini ed entropie varie che ci agitano corpo ed anima e cervello, la prima cosa è capire che non sempre fermarsi significa perdere oppure alzare bandiera bianca. A volte è solo e semplicemente salutare, mettere un punto ed andare a capo, assimilando la nostra vita a pagine scritte che riempono fogli bianchi su fogli bianchi, cioè i nostri giorni, i nostri pensieri. 



La storia raccontata, è presto detta. Un brillante ultra quarantenne perde tragicamente la moglie e il caos interiore, abilmente dissimulato a tutti tranne che a sé stesso, lo porteranno a singolari scelte di carattere quasi radicale e dai risvolti tra il grottesco ed il surreale. La prima radicale e via via definitiva scelta è quella di insediarsi su una panchina posta davanti alla scuola frequentata dalla piccola figlia. Il protagonista ha bisogno di fermarsi. accettare/ ri-comprendere aspetti del rapporto con la moglie scomparsa elusi, delusi o disillusi. Porre dei paletti invalicabili al rumore ed all'invadenza del suo lavoro di manager in carriera, riprendere a curare i particolari, ad assaporare le parole dette o non dette, dare insomma corpo alla superficialità che ha indossato per anni e che per ora scopre gli stia stretta, che gli procura freddo negli inverni del cuore e troppo caldo nelle primavere dei suoi nuovi pensieri. 


In cotale minimale luogo di pemanenza, si recheranno in pellegrinaggio colleghi, superiori, parenti e semplici passanti (poetici e fiabeschi nella loro normalissima quotidianità, come il portatore di handicap che viene salutato quotidianamente con una lampata dei fari della macchina o la bella ed enigmatica ragazza che gli sorride mentre porta a spasso un gigantesco cane) che lo aiuteranno a cambiare prospettiva su se stesso e sulle cose del mondo (un po' alla Baron Cosimo che sale sugli alberi nel "Barone rampante" di Calvino). 
Esilaranti i famigliari, la nuora ed il fratello, talmente attorcigliati e frettolosi, nell'amore come nel sesso, nelle spese come nel lavoro, da divenire un esemplare contraltare. 
Drammatici, quasi macchiette didascaliche, le comparse di colleghi e superiori del lavoro. Tutti con poco tempo e nello stesso momento nella affannata ricerca di una redenzione, di una meta, di una convinzione, di un ideale. 
Corollario e apice di tale appartamento insolito, è l'avventura fuori dalle righe con una facoltosa signora d'altobordo, da lui salvata da annegamento proprio mentre la moglie moriva. E poi finale a sorpresa che però scioglie in un unico significato il senso dell'opera. 

Qualcuno saprà del clamore e del successo del film omonimo tratto dal testo, con Moretti protagonista e Grimaldi regista. Già, lo so. Prendendo spunto dalla pellicola immaginate da parte mia una magari colta disquisizione sul sesso, dove eventualmente io prendo parte contro l'ennesima invasione di campo di Chiesa e cattolici che a partire da alcune scene di nudo in questo film si sono indignati e hanno invocato più moralità. Sicuro, edificante ed esilarante "tragico" siparietto sull'Italietta di oggi. O magari una dettagliata analisi delle famose terga esibite dal mattatore di questo film, ovvero Nanni Moretti. Una politicizzata disamina. Se il suo posteriore è incredibilmente di destra. O più blandamente di sinistra arcobaleno o addirittura clamorosamente di centro. Se fa girotondo oppure no. 
Però deluderò le attese. Perchè la tanto acclamata componente sessuale e libidinosa e quant' altro è forse l'unica cosa che nel film manca quasi del tutto e rispetto al testo da cui è tratto parecchio attenuata ed ammorbidita, quasi frettolosa. Gli ansimi in sala all'inizio della scena di nudo mi sottolineano che la evidente campagna pubblicitaria mass-mediatica sullo spezzone ha comunque colto nel segno. E rimarco tuttavia che questo bel film è una perfetta trasposizione dell'ottimo romanzo omonimo di Sandro Veronesi. Non lo tradisce quasi mai, nella sceneggiatura e nella scelta e personificazione degli attori. 
Diverge fortemente proprio nel rapporto fra Moretti ed la ricca e annoiata signora altolocata (la Ferrari), sia nella importante scena iniziale (mal girata, direi), sia appunto nel famoso rapporto contro natura verso la fine del film. Credo che trattasi di una scelta, più che di una improbabile svista. 
C'è subito da dire che mentre nel testo l'io narrante è dimidiato e pensoso e lascia trasparire la sua crisi interiore che gli fa scorrere i suoi tanti piccoli egoismi, nel film Moretti assurge a figura meno problematica e più emblematica, di colui che ad un certo punto e date certe concause, ridiscute tutto scegliendo nessun compromesso ma solo una propria più matura libertà di pensiero ed azione riscoprendo sentimenti e valori perduti oppure semplicemente bambinescamente elusi. 
Per questo vi evidenzio che secondo me, tutto sommato, sia libro che film sottendono alla riflessione che riportavo in premessa: camminiamo per le strade della nostra vita con sguardo accecato ed orecchie sorde, calpestiamo piccoli e grandi sentimenti altrui, inciampiamo in grandi e piccole amarezze senza cercare di evitarle, ci rendiamo soli anche quando non lo siamo perchè ci dimentichiamo l'anima e soprattutto dimentichiamo di ascoltare gli altri. Amore, amicizia sono soprattutto ascolto, per dirsi compiuti, sani, immuni alle ruggine e alle storpiature del tempo. 
In questo senso allora, è accurato l’intervento chirurgico del protagonista a posteriori, volto ad analizzare, comporre o scomporre i tanti "prima" della sua vita che si è lasciato sfuggire o da cui si è lasciato imprigionare senza nemmeno rendersene conto. Ad una certa età certo non si rinasce, impossibile, anche se in piena epoca di rifacimenti plastici e a prezzo quasi modico. Ma si può ancora sterzare dal sentiero impervio che si è imboccato quasi per sbaglio e svoltare verso una nuova autostrada per un quasi paradiso senza per forza accelerare o trovare troppo traffico. 

Rimane il fatto che Veronesi io lo leggo dagli anni novanta, ai tempi dei suoi esordi. Con questo romanzo ha probabilmente raggiunto una maturità stilistica e contenutistica che lo fanno apprezzare in maniera davvero convinta. Non scrive capolavori e talvolta in lui non c'è ombra nemmeno della genialità. Solo che sa scrivere, compone storie e in questo caso la fa divenire talmente ammiccanti e vere, pur nel nella loro apparente giocosa surrealtà, che è un peccato non leggerlo.
Malinconico ma non struggente, vero

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