lunedì 10 novembre 2014

Non è un paese per vecchi (Cormac McCarthy)


C'è questa America di confine con il Messico. Dove passa tanta droga certo, ma solo perché la richiesta dei consumatori è in grandioso e facoltoso aumento. C'è questo profondo sud statunitense che da secoli ormai è in contrasto archetipico con gli eccessi brillantati e sotto i riflettori dorati del successo a portata di mano o di portafoglio della California e della West coast in generale. O in netta antitesi con il progressismo industriale e tipicamente capitalista dei "nordisti". 
Parliamo di ciò perché prima di entrare nello specifico, questo romanzo è essenzialmente una narrazione profondamente legata alle sue radici territoriali. 
Ed in ogni caso non ho resistito. 
E benché non sia propriamente amante del genere di cui il libro fa parte, eccoci qua. Tenuto conto che non amo il sangue, visto che anche a pasto la carne la divoro ben cotta. Ma l'arena invece mi affascina. 

"Non è un paese per vecchi", uscito in Italia nel 2006, ma risalente al 2005 è una storia a suo modo avvincente, giocata sul filo del rasoio ed essenzialmente tripartita. Infatti tutto il narrato è imperniato su i tre indiscussi personaggi principali. Moss, Bell e Chigurh. Le donne che appaiono sono ben tratteggiate, ma non hanno un ruolo decisivo seppure hanno funzioni essenziali nella trama. 
Moss è classico personaggio di questo tipo di romanzi. Duro ma debole, forte ma perdente, tipico uomo tornato dal Vietnam, con pensieri e necessità low cost, dal lavoro alienante e senza futuro quale quello di saldatore, la passione della caccia alle antilopi e una militaresca conoscenza delle armi. Un bel giorno nel deserto trova per caso, con assieme un ricco contorno di cadaveri variamente mutilati, una borsa con due milioni di dollari e rotti scampata all'eccidio e dovuta ad un fallito acquisto di droga. Antieroe per eccellenza, innamorato a suo modo della vita più di quanti detesti ciò che la sua vita non è stata, Moss ci prova. Ruba e scappa. Ma commette imperdonabili errori che scateneranno l'inferno. I possessori del denaro e un killer psicopatico (Chigurh) gli daranno una spietata caccia che non si ferma davanti a nulla. La sua è una fuga senza direzione, ma da qualcosa. 
E lo sceriffo disilluso Bell cercherà, anche lui impantanandosi in imperdonabili sbagli, ritardi, lentezze, di rintracciarlo e proteggerlo. Bell, nel frattempo, si erge a fulcro dell'ordito narrativo, spesso fermo in amare considerazioni personali sul suo esser o meno veramente "uomo," sulla società che vive e sul suo ruolo di sceriffo. Le sue brevi e moralisteggianti digressioni non sono solo efficaci e congeniali a dare respiro all'incalzare dell'intreccio, ma esprimono un punto di vista malinconicamente nostalgico dell'americano "orgoglioso di" che vede sfaldarsi il proprio paese senza che nessuno sappia o possa intervenire. Tra le righe pare che solo un intervento divino, ammesso che Dio voglia, riesca a mettere ordine ad un paese che non si riconosce e non può essere riconosciuto. Ogni ideale, ogni idea, ogni "vecchia" regola pare essere ormai essicatasi in quelle lande assolate e silenziose. 
Tanto ci si potrebbe dire e ridire su questo. Non ci sono più le Americhe di una volta? 

Probabilmente gli Stati uniti, paese nato per caso da un melting pot eterogeneo e confuso, cresciuto con l'eccidio efferato delle popolazioni native di quelle terre, ora paga il male insito nella sua stessa nascita e ciò che prima fu il motivo di una scultorea e granitica aggregazione ora diventa la causa prima dell'implosione. Ma a mio parere oramai non è il Vietnam (o il suo spettro) a fare da meccanismo disgregante. Anche il recente ed inequivocabile fallimento dell' invasione dell'Iraq, per esempio, fatta in "nome di Dio" ha profondamente segnato lo spirito patriottico e secolare dell'americano middle e low class. 

Tornando al romanzo Chigurh (che mi dicono vada letto in maniera simile a sugar) l'invincibile tenace onnipresente criminale, è affascinante e forse la figura più devastante ed emblematica. Psicopatico dalle maniere quasi gentili, nella sua efferatezza appare come uno degli angeli del male che a loro modo perseguono un bene assolutamente folle e poco canonico secondo le nostre più comuni regole, ma pur sempre in nome di una sorta di missione di carattere ancestrale-archetipico. Ricorda per taluni aspetti, a partire dalla forza dello sguardo, dalla catartica freddezza e dall'imperscrutabile sete di morte il Randall Flagg creato da Stephen King in "L'ombra dello Scorpione", benché romanzi ed autori citati non abbiano nulla in comune, almeno qui. 
Al di là delle considerazioni personali, la storia sarà serrata e la sfida tripartita vivrà di colpi di scena mozzafiato. I tre protagonisti sono umani e disumani allo stesso tempo, pieni di contraddizioni eppure così uomini pronti a tutto, persino a. 
Sarà una mattanza, epica e sanguinolenta, irascibile, vivace, in un romanzo di deserto, polvere, strade isolate, pick-up, motels, paesuccoli sperduti fiaccati dal caldo e dalla polvere e raffiche delle più svariate armi automatiche e non. 
Non ho remore nell'ammettere che mi è piaciuto. Non solo è facilmente leggibile, scorrevole e trascinante, visceralmente intenso come molti dei testi prodotti da narratori di quelle zone. 
Ha di tipico la cifra stilistica, uno stile tutto azione e dialoghi senza segni di interpunzione, modus scrivendi tipico di molta narrativa americana, infarcito di descrizioni secche e coincise, pochi voli pindarici, da leggere d'un fiato. 
La millimetrica e quasi paranoica accuratezza nel descrivere le caratteristiche delle armi, l'asettico e impeccabilmente fotografico resoconto dell'effetto martoriante che i colpi d'arma implacabilmente recano nei corpi, i passi dedicati a perizie balistiche degne di rapporti di polizia, sono peculiarità credo ascrivibili alle tipiche connotazioni del genere, che definirei giallo con accese marcature splatter 
Solo un altro autore contemporaneo americano, dedito al thriller ed affini, peraltro vicino come genere narrativo a McCarthy, mi aveva di recente così colpito. Parlo di Joe Lansdale, che si differenzia nettamente da McCarthy in molti suoi romanzi per una irriverente, grottesco e travolgente humour che stravolge dilata e disperde gli aspetti più efferati e macabri della sue narrazioni. 
Da leggere,in ognia caso, anche dal di là dei Coen e al di là del proprio amore o disamore per gli Usa. 

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