lunedì 17 novembre 2014

Suttree (Cormac McCarthy)

Un uomo. Anzi tanti uomini. E donne. Ma un solo protagonista. Ed un fiume, uno. Di quelli che se anche scorrono alla fine sembrano invece restarsene sempre fermi, diventare palude. Nel senso che non portano al mare, non vanno da nessuna parte, servono solo per essere fiumi e basta 
Non raccoglie altri fiumi, anzi, è unico, nel suo scorrere, trasportare, sfasciare oppure bagnare. 
E sullo sfondo di una periferia infida, fatta di sentieri scoscesi, acquitrini putridi, una folla di esiliati e sopravvissuti poi una città. Una brutta città.



O forse la città cui si ambienta la storia è bella, ma mostra solo i suoi lati peggiori, con i suoi locali spesso semivuoti riempiti da ansie, rigurgiti, rabbia, depressione e perversione, le sue stradine appassite, i vicoli tumidi e violenti, i mercati avidi e pieni di fame, le sue mura screpolate. E ancora una cittadinanza malata, quasi come lebbrosi, con sulla faccia, sulla pelle o nei gesti l'inevitabile segno della malattia più antica del mondo, la voglia di vivere una vita che non vorrebbe o non dovrebbe essere così. 
Ma non tutti sanno sopportare, avvinghiare, perdere e poi ritrovare la vita, anzi. Molti sanno solo perderla, se non per sempre anche per lunghi tratti, fino a non averne più e morire, come gli altri, senza averla vissuta come volevano, dovevano, potevano. 
E al centro, lui. Se questo è un uomo, questo Suttree di cui parliamo, allora bene, un po' tutti gli uomini sono così. Se questo è un personaggio letterario, ebbene, diciamocelo, qui e là assomiglia anche a tanti altri. Tipo il protagonista del Viaggio al termine della notte di Celine, nato con altri presupposti e dimidiato da altri dubbi. Perché Suttree non dubita, ma di dubbi ne ha tanti, non esita, eppure è un esitante, non vince, non perde, non pareggia, eppure gioca le partite in cui si trova a giocare o decide di. 
Suttree vive. E rimane solo Suttree, niente di più, niente di meno, niente di meglio, niente di peggio, uno che rimane un eroe ché poi di eroico,a dire il vero, alla fine ha poco, forse nulla eppure è come un eroe, sta sempre lì, lì nel mezzo, come il mediano che cantava un onesto e sopravvalutato Ligabue anni fa. 
E' poco Suttree. O forse tanto. Perché vivere è scegliere e scegliere è anche spesso sbagliare e Suttree sbaglia e neanche poco. Eppure è lì, sulla sua barca, su un fiume dall 'aspetto lurido e melmoso, che passa sotto spettrali ponti di cemento che sbarcano autostrade, e non smette mai di farsi trascinare per poi, coraggiosamente o no, tornare alla sua baracca, costi quel che costi, quanto tempo e ferie e qualunque altra cosa ci voglia. Tanto le stagioni tornano ed ogni inverno è freddo, tanto più freddo del precedente.. 

Epico, trascinante, crudo. Un pugno allo stomaco, ma anche un pugno di quelli benevoli, di quelli che, per dire, magari fanno un male boia all'impatto, ma che eviteranno un sacco di frustate alle spalle in futuro. 
Un romanzo di strappi e di rare, rade cuciture, di atmosfere labili e snervanti, sporche, anzi di più sudice, lerce, eppure pulite nella loro mondezza interiore ed esteriore. Un paesaggio aggressivo, spesso funereo, violento anche nella sua irritante, minacciosa stabilità. E un linguaggio che si fa espressione e tensione, con l'uso di un lessico molto fornito, articolato, aggettivazione insolita e capziosa, che aggredisce la scrittura. Non abbiamo l'estrema levigatezza, l'asciutto ed essenziale stile che caratterizza i passi di La strada , uno dei romanzi più famosi dell'autore, Cormac McCarthy. 
La scelta è per una ridondanza barocca donata di una mostruosa fantasia lessicale-semantica. Uno scritto a cui l'autore ha dato molto e da cui si aspettava molto e che però alla fine nel suo complesso non mi convince appieno. 


Esasperata ed esasperante la ricerca della metafora espressionista se non surreale, scelte lessicali desuete, non auliche ma evidentemente stridenti, volutamente stranianti con il ritmo serrato di certe descrizioni e la completa mancanza di dettagli psicologici, come nella miglior tradizione statunitense. Ma anche un finale che improvvisamente decelera e sconfina nell'onirico pansessuale, quasi a contornare un delirio improvviso che poteva anche non accadere o perlomeno tardare. 
Per chi non ha mai incontrato precedenti della narrativa Usa, un romanzo da leggere. per chi conosce l'autore, un testo con cui confrontarsi. 

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