venerdì 27 novembre 2015

Canale Mussolini (Antonio Pennacchi)

Semplicemente un'opera immensa, quasi dalle sfumature bibliche: dal 1926, in nove anni furono impiegate ben 18.548.000 giornate-operaio, secondo Wikipedia. Di che parliamo? Della bonifica dell'agro pontino. Probabilmente una delle opere del recente passato di cui gli italiani tutti devono andare più fieri, anche se fu concepita e realizzata in tempi grami, dove c'era un regime e già si agitavano megalomani proclami per creare un impero che invece diverrà provincia, provincia del mondo, come è attualmente, ai nostri giorni. Allora, per inciso, come molti di voi sapranno, si era sotto la dittatura di Mussolini. E l' argomento principale del romanzo "Canale Mussolini", con toni talvolta epici che mai sfiorano il patetico, il melenso, il gossip o la mielosa e stucchevole retorica, è appunto una storia delle storie ordinariamente straordinarie di gente che quella avventura epocale la vissero, non solo come testimoni ma come protagonisti.

giovedì 26 novembre 2015

Un uomo (Oriana Fallaci)

Succedono cose nel mondo, anche oggi. Son successe e chissà quante altre bisognerà vederne. E poi leggerle, subirle, magari infangare il buon umore ed avere un moto di rabbia, indignazione, dolore. E' la notte tra il 30 di aprile ed il 1º maggio 1976. Siamo a Glyfada, luogo natale nei dintorni di Atene, di Alexos Panagulis, martire e aspirante carnefice del regime totalitario instaurato dai militari in Grecia fra il 1967 ed il 1974. Egli rimane vittima di un incidente automobilistico alquanto surreale. Era un personaggio scomodo, fuori dagli schemi, condannato a morte per un attentato nel 1968 al presidente fantoccio della dittatura, Papadopulos, poi graziato e rinchiuso in carcere di isolamento, con un regime di detenzione durissimo, cui lui reagirà con ferma intransigenza e una certa dose di pazzia mista ad eroismo. Con la pseudo caduta della Giunta militare, sarà poi amnistiato e successivamente eletto deputato per un pugno di voti.

mercoledì 25 novembre 2015

Castelli di rabbia (Alessandro Baricco)




L'altro giorno non so perché ero alla stazione Termini, Roma, caput mundi secoli fa, la città delle città, si diceva una volta. Ma era una volta, ed ora è svoltata, né a destra né a sinistra ma verso un precipizio. Alla biglietteria, dopo una fila nervosa ed estenuante invece che il solito biglietto per il mio tragicomico e sferragliante regionale che ci mette anni per coprire metri, ho chiesto all'addetto un biglietto per Quinnipack. Ovviamente non era disponibile, perché quella città non esiste, anche nei nostri tempi, di alte velocità, Tav, trasporti veloci e comodi certe mete sono irraggiungibili esattamente come i vostri cellulari a volte sordi e ciechi, senza campo, voce, senza nulla.
Ho abbandonato sul momento l'idea di un viaggio così,non valeva la pena di. Ma mi sarebbe piaciuto, per un giorno, visitare questo luogo che non c'è, come a volte mi sarebbe stato gradito fare un salto a Macondo di cui mi parlò un certo sudamericano di qualità ineccepibile quale Gabriel Garcia Marquez. Perché, come forse avrete intuito in questa realtà a volte amara a volte solo incomprensibile, a mio parere solo la letteratura può regalare un cambio di prospettiva ed offrire una nuova geografia mentale e spirituale. Il potere della parola logora chi non ce l'ha.
Quinnipack è solo la capitale del regno fantastico e realistico, allo stesso tempo, che Alessandro Baricco, nell'ormai lontano, ahimé, 1991, costruì, anzi architettò, per dare spazio, ambiente e aria ad una serie di personaggi che erano ad un bilico, ossessionati da qualche meravigliosa e delirante, fatua ossessione ma convinti di poterla non solo desiderare, ma anche realizzare. 

martedì 24 novembre 2015

Lessico famigliare (Natalie Ginzburg)


Una Torino inizio secolo e poco oltre. Quell'aria vagamente crepuscolare di cui Gozzano ci narrò in false poesie che erano brillanti poemi in prosa.
Tutto torna o se preferiamo i giochi di parole, tutto Torino. E poi una narrativa delicata, deliziosa. Un libro soffuso, soffice. Scene di vita familiare, in una città di un altro secolo, agli inizi e durante la terribile e cancerogena esperienza del regime fascista. Ci si addentra, con passo lento ma non meditabondo nelle ordinarie e straordinarie vicende quotidiane della famiglia Levi, alta borghesia certo, ma non spocchiosa, anzi, una borghesia di vecchio stampo che forse oggi non esiste più almeno in Italia. Di cui tutto sommato si avverte un gran bisogno. Magari radical chic, ma illuminata e lungimirante, anti retorica, pragmatica, antifascista per DNA ma non con il dente avvelenato della mera ideologia.

La famiglia Manzoni (Natalia Ginzburg)

Egoista. Egocentrico. Egotico. Un buono che però, volente o nolente , dispensa male, delusione, tristezza, affaticamento e delusione sentimentale. Alessandro Manzoni, Alias i Promessi Sposi alias colui il quale viene considerato il fondatore della lingua italiana moderna con la graziosa collaborazione di un centinaio di persone ignare, nonché il nostro romanziere di punta a detta della critica officiante ed imperante, da alcuni in assoluto, da altri, meno avventati ed onesti, solo dell'ottocento.
Non so per quanti rappresenti una sorta di incubo, di rigurgito velenoso di lettura imposta, quantomeno a suo tempo (ah gioventù "che di beltà splendevi") noiosa e degna solo della rivisitazione sbeffeggiante in serie televisiva fatta dal famoso Trio. ovvero Solenghi-Marchesini -Lopez. Va da se che io ancora non l'ho digerito. Ma certo "I promessi sposi" sono un crocevia obbligatorio per tutti quanti noi hanno intrapreso gli studi superiori. E Manzoni, l'autore, oltre che come il più importante romanziere italiano di ogni tempo, ci viene presentato come uomo di nobile animo, di fervidi interessi umanitari e sociali, capace di benevole e paternalistiche iniziative nonché di benefici e cristianeggianti meritorie elemosine materiali e spirituali, dedito alla famiglia ma assunto dall'arte, sapendo ben amalgamare due attività così distanti e dissimili, pieno di ammirevoli ideali ed entusiasmanti slanci patriottici.
Non è così, almeno così è, se vi pare.

giovedì 12 novembre 2015

Freddie Mercury. Chi vuol vivere per sempre? (Laura Jackson)


24 novembre 1991. A Londra, nella sua faraonica villa in Kensington si spegne a 45 anni Freddie Mercury, cantante e front man della band inglese dei Queen. Una vita fuori dai limiti, da vera star, tra eccessi e clamori, folle adoranti e vendite stratosferiche, bruscamente interrotta dall'Aids. Il clamore è enorme.
Mercury, che in realtà si chiamava Farrokh Bulsara, era nato nel 1946, nell'isola di Zanzibar, da una famiglia di origine persiana, che professava la religione parsi, tratteggiata nel libro come abbastanza rigida e che influirà probabilmente sul carattere del giovane. 

Io non ho paura (Niccolò Ammaniti)

Un piccolo sobborgo di campagna,sperduto e ramingo quanto basta, fine anni settanta che furono, 1978 per la precisione. Michele come tutti ragazzini è vivace, curioso, inquieto. Ma una mamma molto buona e tenera e poco male se il padre è un po’ burbero, deve lavorare, mantenere la famiglia. Quadro quantomeno stereotipato. Tipico maschio e tipica femmina modello feuilleton, gadget da narrativa di consumo che impiastra carta e ottenebra la mente. Neanche una parodia del neorealismo post-guerra italiano poteva riuscire ad offrire quello che invece racconta un tale, famosissimo e straletto romanzo. ma andiamo per ordine, per analizzare quello che è un bivacco sonnolento dei più usurati topoi narratologici .

Poesie (Endre Ady)

"Sento che da lontano vengono
altri.
Ma il lontano dov’è, dove il vicino?
E dove nel mezzo,
stazioni?”
(Endre Ady)


Fonte: Wikipedia

Suggerimento. Suggestionato. Soggiogato.
Perché la storia di un casuale incontro tra uno studente di letteratura italiana e la poesia di Endre Ady, sconosciuto ungherese, nel 1991, può, tranquillamente, anche riassumersi in mere tre parole. Anche perché stavolta la recensione per vari e svariati motivi e imposizioni non è possibile nei suoi canonici, consueti ed archetipici stilemi. Tutto ciò nasce dalla lettura (obbligatoria) per un esame di "Letterature comparate", su un testo, Armando Gnisci, "Il colore di Gaia". Azzurro",Carucci editore, 1989. Testo di per sé utopico, una ricerca di concordanze e discordanze fra le letterature del mondo, alla ricerca forse di una pietra filosofale. O di qualche magia cattedratica al sapor di re Mida.
Qui è solo una serie di sensazioni e qualche notizia. Perché certo che non si tratti né del primo né dell’ultimo caso di denuncia di brillante operazione per rimozione e cancellazione, per motivazioni ardue da poter sostenere oppure anche lontanamente spiegare. Per le notizie rimando alle forzatamente scarne note.
Poi.



Qui propongo qualche lettura e qualche annotazione a margine. Che si prendano come glosse, alla maniera degli antichi frati medievali, che in qualche modo, oscuri scrivani e forse solo per imposizione di fede, trascorrevano e trastullavano il proprio tempo copiando, senza però resistere alla demoniaca tentazione di lasciare una traccia. Perché questa lunga digressione mi piace scriverla come una chiosa.
“Partiamo. Andiamo verso l’Autunno,
gracchiando, piangendo, inseguendoci,
due falchi dall’ala lenta.

L’estate ha già dei nuovi rapaci
Schioccano le ali dei nuovi falchi
Incrudeliscono le battaglie d’amore

Noi lasciamo l’estate, trasvoliamo scacciati,
ci fermiamo in qualche luogo dell’Autunno,
amorosi, con le piume arruffate

Sono le nostre ultime nozze:
ci strappiamo le carni a colpi di becco
e cadiamo sul fogliame d’autunno"

("Nozze di falchi sul fogliame secco")


Eccolo l’amore come un' arena, fatto di volatili eppur rapaci, che si consumano con forza a volte al di fuori del reciproco rispetto, una consumazione lenta ed inesorabile, mentre le stagioni passano, i cieli cambiano e gli amori continuano ad inseguirsi in base a folli dettami senza ragione né pietà. Potente, forse esageratamente drammatica, ma di forte impatto emotivo, molto guerresca e livida, come un’eterna tempesta che alcuni amori, o idee di amore, possono anche scegliere e delegare come propria rappresentazione.
Poi la caducità della vita, torna lo scorre del tempo, l’inasprirsi dei contrasti fra volere ed avere, oppure sentire e sentito, o quello più archetipico vivere ed esistere, fatto di scelte fra un carpe diem fino all’estremo oppure una lenta costruzione di fragili muraglie all’imperversare della casualità:
" Un minuto, e la vita mi bacia
Il mio corpo è una caldaia, lieta ardente
Ardono le donne, le case, le strade
I cuori, i sogni. Tutto arde
E tutto è immortale

Un minuto, e vengono piccoli demoni:
spengono le fiamme con lunghi ciuffi.
Viene il dubbio, viene un gran freddo.
Viene il fango e forse il ricordo
D’un paio di calzoni sdruciti"
(Solo un minuto)


Una lotta destinata alla sconfitta contro la mutevolezza e lo scorrere del tempo e degli stati d’animo e la parola pare una umile schiava volta solo a cristallizzare la sensazione di.
Perdersi. Lasciare. Non ritrovarsi.
Non ci è dato sapere se alcuni atteggiamenti così lessicalmente spinti allo stremo furono frutto di una personalità teatrale, o doppiogiochista, troppo poche ancor ora le conoscenze e troppo forti le evocazioni suggestive.
Sessualità certo, ma anche anche intensità lirica, senza struggimento che comunque appaga i romantici, qui siamo pur sempre nel Novecento, anche se in provincia della Letteratura divulgata.
Ancora l’amore. Ancora il fuoco, la carnalità, il consumo, il darsi-aversi ma finire. E poi la labilità umana, il resistere oppure lasciarsi al tutto, un vortice e la scelta che appartiene soltanto all’uomo: poca metafisica, siamo nel campo del carnale:
" Stiamo su una cima selvaggia noi due
Stiamo abbandonatie rigidi
Aggrappati l’uno all’altra, senza lacrime, lamenti, parole:
appena un tremito e cadiamo

Ci legano lacci di carne e sangue
finché stiamo così avvinghiati:
le nostre labbra livide e tremanti.
Finchè tu mi baci, non abbiamo parole:
ma se dici una parola, cadiamo"
(Stiamo su una cima selvaggia)
 
Sembra che solo una prorompente e quasi eccessivamente accesa materia possa dare sostanza e linfa ad una comunicazione nella relazione amorosa: il resto pare affidato a vertiginose cadute negli abissi del.
Adolescenziale o monodimensionale forse, come postera interpretazione, ma certo che la forza che emana sembra tatuare gli occhi alla semplice lettura con un marchio di fuoco e fatuità. Però credo sia giusto sottolineare che la poesia a volte non deve esser un semplice mondo circoscritto, un porre paletti sulla base di musicalità e significato delle parole. A volte la poesia può essere un sussurro all’orecchio di mondi e o sensazioni probabili, ma non impossibili, oppure la eco di una musica suadente che ammalia, come dovette forse essere nella fantasia il canto delle sirene per l’Ulisse omerico in preda a passate e future tempeste.
E il poeta Ady ( e probabilmente anche l’uomo che fu,ma non può rispondermi sul quesito) a volte decide l’abbandono con lucida, pazza, a volte egoistica consapevolezza:
" Io sono il parente della morte.
Amo l’amore morente
Amo baciare
Chi se ne va

….
Amo coloro che partono
Che piangono e si destano
E, nei freddi mattini brinati,
i campi

….
Amo i delusi, gl’infermi
Coloro che sono fermi
Gli increduli, i tristi:
amo il mondo"


Visione apocalittica e forse anche questa eccessivamente decadentista-nichilista, ma che per quel che se ne legge, una dichiarazione di poetica, stanca forse, ma che riserva sorprese ad ogni verso (gli increduli ed i tristi sono antitesi semanticamente forti per una connotazione come quella evidenziata).
E forse profetico fu il poeta, nella sua visione tragica:

"Nemmeno un frusciare tradisca
Ciò che ha già nascosto l’anima mia:
senza vita se ne è andato qualcuno,
che ne è andato uno che fu di qui

Di altri non fui, neppure di me stesso,
la fredda nullità è mia sposa.
Non ho il diritto di lasciare ricordi,
ne ho il diritto di ricordare

Come una domanda dimenticata
E senza risposta, io cada nella pace:
che non voglia più essere, se fui:
e, se fui, rimanga segreto a tutti"
(La partenza pacifica)



Oppure:
"Le stelle cadenti mi hanno illuminato,
mandragore da poco stordito
e, in luogo della vita, non ho avuto che ore"
(Ore in vece di vita)


Così fu, credo, così è stato. Un segreto, però che lascia qualche vaga inquieta certezza e qualche parola che in certi momenti, in eventuali momenti, può anche divenire una bussola. Una bussola che, sia detto per inciso, non detta coordinate geografiche, ma solo indica terra del pensiero e dell’emozione da cui, eventualmente ripartire.

Insomma la storia di parole che mi hanno a suo tempo vinto e convinto. Come solo la poesia sa e può fare.

BREVI NOTE

Endre Ady (Ermindszent, 22 novembre 1877 – Budapest, 27 gennaio 1919) fu essenzialmente poeta, ungherese, in una futura nazione che andava aprendosi all’Occidente e che vedeva sfaldarsi lentamente e senza sosta l’impero asburgico di cui faceva parte. Nato da una famiglia andata sul lastrico, si avvicinò alla giusta età alla rivista Nyugat, considerata la prima rivista in quei luoghi a svecchiare la letteratura indigena ed anche il senso estetico fino ad allora dominante. Nel sito citato si possono leggere le opere pubblicate in lingua indigena.

Ancora attualmente è poeta essenzialmente di interesse ungherese e talvolta degno di interesse inglese. Assai scarsa la sua notorietà in Italia.




mercoledì 11 novembre 2015

Il gruppo (Joseph O'connor)

  Sean ha deciso, entrerà a far parte del gruppo musicale di sua sorella. Gli altri tre membri accettano con gioia la novità, visto che la ricerca si stava protraendo troppo a lungo. E ormai dopo settimane di suonate avventurose, alla meno peggio, dove capitava, per parchi e vicoli di strada, è ora di fare sul serio. Solo che Robbie intuisce subito il fascino carismatico del nuovo arrivato e già sente morsi di gelosia. 
Più forte di lui. L’agognata Trez, anche se è solo sua sorella, sembra avere un feeling particolare con quel fratello grande, bello e disincantato. E poi bisognerà vedere come questa personalità forte possa andare d’accordo con l’egocentrismo eccentrico di Fran, almeno creativamente il leader del gruppo, anche e non solo per i suoi gusti elitari ed il suo look stravagante e bisessuale. Da tempo incuriosisce non solo il college, ma l’intera Luton. In effetti il suo arrivo come figlio adottivo dal Vietnam in Irlanda e poi in questa cittadina grigia ma viva ha segnato un’infanzia certamente tormentata.

Non sparate sul cantautore (Claudio Bernieri)


É il 2 aprile 1976. Dopo un pomeriggio di tensione, un gruppo di autonomi piomba sul palco del Palalido di Milano, tutto esaurito per l’occasione, dove si sta esibendo Francesco De Gregori, noto cantautore romano, reduce dallo stratosferico successo del suo album “Rimmel”. Un vivace scambio di battute, forse qualche spintone, certo qualche insulto. Si tratta comunque della sceneggiatura di un processo che le frange estremiste ex parlamentari della sinistra antagonista fanno ad uno dei più celebrati cantautori di successo, sulla base del concetto che la musica è di tutti ed un “compagno” come lui non può esibirsi con un biglietto che costa ben 1500 lire di allora.

Due mesi prima un artista del calibro di Lou Reed, non certo uno tutto pop e lustrini, a suon di bottigliate era stato costretto a interrompere lo spettacolo, nel medesimo posto. Ed un anno dopo, sempre nel capoluogo meneghino Santana verrà messo in fuga nel mezzo della sua acclamata esibizione live. Se la musica aveva strappato spazio a poesia e romanzo ed era diventata lo strumento di contestazione, ora ne diviene il bersaglio. 


martedì 10 novembre 2015

24:00:00 (Federico Guerri)

Ma cosa ne possiamo sapere noi, adesso, di cosa può essere o non essere l’amore, in un’epoca in cui un solo colpo di click ti connette a centinaia, migliaia di persone distanti migliaia di chilometri?Undici personaggi eccentrici, stravaganti e speso stralunati, tutti in qualche modo mossi e sommossi dalla scritta che da tutto il mondo si vede campeggiare tra le nuvole, con la sua aria di minaccia e di cataclisma inevitabile.
Una scritta che non ammette repliche. E' un conto alla rovescia. E chissà cosa succederà una volta terminato.