martedì 24 novembre 2015

Lessico famigliare (Natalie Ginzburg)


Una Torino inizio secolo e poco oltre. Quell'aria vagamente crepuscolare di cui Gozzano ci narrò in false poesie che erano brillanti poemi in prosa.
Tutto torna o se preferiamo i giochi di parole, tutto Torino. E poi una narrativa delicata, deliziosa. Un libro soffuso, soffice. Scene di vita familiare, in una città di un altro secolo, agli inizi e durante la terribile e cancerogena esperienza del regime fascista. Ci si addentra, con passo lento ma non meditabondo nelle ordinarie e straordinarie vicende quotidiane della famiglia Levi, alta borghesia certo, ma non spocchiosa, anzi, una borghesia di vecchio stampo che forse oggi non esiste più almeno in Italia. Di cui tutto sommato si avverte un gran bisogno. Magari radical chic, ma illuminata e lungimirante, anti retorica, pragmatica, antifascista per DNA ma non con il dente avvelenato della mera ideologia.

 
 
Sorridiamo, forse e comunque prendiamo parte alla pacate ma mai banali finestre, fatte di scorci e spiragli e brandelli, quasi aprendo non del tutto una persiana, che animano il curioso, quasi bislacco rapporto di coppia fra i genitori, divisi non solo dalla fede politica ma anche dalla indole praticamente opposta, come quella di Giuseppe, comunista, blaterante, burbero, sportivo ma ansioso dei suoi figli, e Lidia, socialista della prima ora, donna affettuosa ma non sempre remissiva, trasognata ma non
sprovveduta del tutto.
E palpitiamo, ma senza troppo sovra-eccitazione, che si rimane sempre composti anche quando fragili certezze esistenziali vanno scomponendosi, alle vicende lavorative, sentimentali, politiche che invece inquietano o acquietano le vite dei figli, la eccentrica e modernista Paola e di tre maschi, da Gino, operoso come una formica ad Alberto e Mario, più movimentati, ora sorpresi ora sorprendenti, domi ed indomiti, in quegli anni così forieri di tragici avvenimenti. Loro sono il futuro e se ne fannno carico, non vanno blaterando ai talk show di una situazione insostenibile, ma si impegnano a cambiarla, anche quando non ci riescono, vogliono essere leggeri nella pesantezza delle situazioni. E nelle case abitate dalla famiglia passano e non restano non solo agiate famiglie come quella dei Lopez o personaggi eminenti come gli appartenenti alla industriale casata degli Olivetti, ma anche figure che a loro modo hanno comunque segnato Storia e storie di quel significativo periodo del novecento, da Foa a Pavese, lo scrittore appartato e maledetto solo da sé stesso, Turati, l'ultimo socialista vero d'Italia e poi tutti gli uomini che contribuirono alla nascita della casa editrice Einaudi, oggi oramai dimenticata ma allora modello e modellatrice di un modo anzi un sentimento di fare e non disfare cultura.
La delicata ed indagatrice voce narrante, femminile, curiosa, ora istintiva ora materna è quella della scrittrice Natalie Ginzburg, ultima figlia della famiglia Levi, che sposò Leone Ginzburg che ebbe da lui dei figli per poi rimanere vedova in quanto il marito morì nelle carceri fasciste romane all'indomani dell'armistizio del 1943.

Natalia fu voce viva ed atipica della narrativa italiana del secondo novecento, con testi narrativi e teatrali a metà fra la cronaca, la biografia e l'autobiografia tra cui ricordo certamente il già recensito e impietoso "La famiglia Manzoni".
"Lessico Familiare" fu certo il suo più grande successo, ancor oggi letto e riletto e fra le altre cose meritato Premio strega. Un focolare domestico che avviluppa e riscalda, una narrativa che non avvince ma che dolcemente ti stringe, ti chiude in un'intimità non mielosa, vischiosa ma bensì appunto familiare, come se ci parlasse in un salotto, con il fuoco che arde nel camino, una tazza di te, cioccolato caldo e qualche dolcetto da mordicchiare.
Secondo libro dove ritrovo la mia Torino, dopo La donna della domenica. Molto più di Culicchia per dire, mi rispecchio in ambiente, dialoghi, personaggi. Ci sarà un motivo per cui, io, a Torino ci sono legato sentimentalmente da venti anni. Affinità elettive, per scomodare un paragone letterario che alla fine tanto velleitario non è. Niente a che vedere comunque con la Ginzburg spietata della biografia di Manzoni.

 

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