mercoledì 29 agosto 2018

La morte della Pizia (Friedrich Durrenmatt)


"La verità esiste in quanto tale solo se non la si tormenta".
Oggi parleremo di Edipo. Non del complesso, oramai sviscerato da più parti, ma di un ragazzo segnato sin da giovane per commettere atti impuri. Il suo carnefice è una sacerdotessa che è nota per vedere il futuro, anche se è talmente vecchia e stanca che nemmeno pensa al passato, ma a come possa terminare il suo presente. Si chiama Pizia e per decenni è stata un punto di riferimento per gente comune ed anche abili politicanti come Tiresia. Sta lentamente morendo. E certo che la vicenda che ha sconvolto la vita di Tebe e gli scenari di potere la vede come innegabile protagonista. Volendo fare un atroce scherzo in realtà ha provocato una lunga reazione a catena che ha seminato morte e rancore.

Un racconto lungo di quelli che lasciano il segno. Niente divagazioni niente pause, una corsa contro il tempo. E Durrenmatt mostra le sue innegabile doti di narratore puro, con una scrittura lucida ed aggressiva seppur giocoforza legata ai suoi tempi coevi, ma intensamente moderna ed efficace. Un sarcasmo corrosivo, più che ironico, cinico.  Un pattern decisamente a struttura centripeta,  sempre di più ci si inabissa delle miserie umane e si arriva al nucleo, dove una volta ancora il fallace desiderio umano di se non predire il futuro almeno di incamminare gli eventi verso una direzione, si rivela impossibile. La verità, questa sconosciuta. Inafferrabile come il tempo, per gli esseri umani rimarrà sempre e solo una chimera.

domenica 26 agosto 2018

Gli aquiloni (Romain Gary)

Inseguire l’azzurro. Per colorare la nostra vita un po' grigia, a volte, anzi spesso, al di là delle contingenze. Già, l'azzurro, quello là, sopra le nostre teste.Non il principe, miei cari romantici, ma il cielo. Sono come Icaro, ricordate? Perché gli aquiloni, un po’ come i nostri desideri, volano in alto e vogliono salire più che possono, sono tutti come quel mitologico eroe che poi s’è bruciato o meglio è caduto perché è arrivato troppo vicino al sole e le ali si son squagliate. Romanzo furbo e ammiccante, che denota una certa padronanza dei mezzi, questo di Romain Gary. Inizio folgorante, sviluppo melenso, finale ben architettato. Una storia di formazione. Dove il contesto è drammatico, nella provincia francese, prima minacciata poi invasa dall’orda tronfia e inarrestabile dei tedeschi nella seconda guerra mondiale.
I due protagonisti principali si inseguono. O meglio non si trovano come sarebbe umanamente giusto.
Uno ha trovato l’amore della vita, ma la vita glielo porta via.
Lei sia atteggia, lo fa soffrire ma poi lo inebria e vive una vita che non andrebbe vissuta, tra la guerra mondiale, le deportazioni, la guerra e l’incredibile peccato di essere ebrea.
Un attaccamento alla famiglia in senso lato come vorace, capace di mangiarti qualsiasi appetito e renderti diverso. Una storia travagliata che poi però non decolla mai. Alla fine l’unico che interessa, uno zio noto e sognatore, che costruisce aquiloni e subisce la guerra come la mancanza di vento, scompare troppo presto e ci troviamo nella narrazione un giovane innamorato ed inverosimile partigiano da una parte ed una ex nobile altezzosa alle prese con la più bieca sopravvivenza. A volte sfiorano il patetico i distacchi e poi i ritorni, in uno sfondo dove il caos, la morte e la disperazione regnano sovrani. Più convincenti e veri i personaggi secondari, ricchi di vizi e virtù e vita vissuta. Si poteva fare di più e meglio, ma i gusti son gusti e lo scrittore, come si sa, fa come gli pare. Rimane che inseguire l’azzurro è un’attività che necessita talento e non è per tutti

domenica 12 agosto 2018

Piccoli suicidi fra amici (Arto Paasilinna)



Il maldestro ma risoluto Onni Rellonen fa conoscenza del militaresco colonnello Hermanni Kemppainen in uno di quei momenti in cui si cerca la massima solitudine: un tentativo di suicidarsi. Avendo scampato il gesto efferato, i due decidono che è meglio farlo assieme ad altri come loro, è più facile, meno possibilità di imprevisti o ripensamenti. Arruolano la bella e dannata Helena Puusaari e mettono in atto il loro progetto. Ma niente sarà come prima, compresa la vita e la morte. O quel che ne rimane .

Trovati un momento topico, drammatico, catartico e ancestrale come il suicidio. Ambientalo nella remota e tutto sommato sconosciuta Finlandia, dato che il mito dei paesi nordici in genere è stato scippato dalla tria de Danimarca-Svezia-Norvegia. Mettici un tre personaggi bizzarri  scarsamente tratteggiati, per niente indimenticabili ma funzionali.
La ricetta è un romanzetto easy, dal finale scontato, con qualche trovata bizzarramente sarcastica, magari anche originale e suadente.
A parte scoprire che il finlandese Paasilina è dotato di uno humour a volte dai sapori mediterranei, Piccoli suicidi fra amici è un divertissment letterario che però personalmente fatico a definire romanzo, con una trama banalotta, un romanzo di formazione per una serie di disperati e sbeffeggiati dall’autore, che manche di ritmo e profondità. Si può fare  e regalare divertimento anche con un romanzo, ma c’è chi lo ha fatto meglio, almeno per me.
Insomma una mezza delusione, a parte l’aver appreso gli ettolitri di alcol che ingurgitano i nativi del remoto paese scandinavo ed aver apprezzato alcune notazioni sulla fierezza di un popolo minuscolo ma molto legato al proprio territorio. Il resto francamente mi apre poco, a volte quasi niente, troppo superficiale o solo accennato.
Sarà stata magari la traduzione, ma lo stile è piatto. E le encomiabili avventure di decine di depressi che hanno fallito l’annientamento per sfiga o ripensamenti vacillanti, diventerà una ricerca di una nuova vita ripensando costantemente al tentativo di finirla, una storia che però non aspira ad insegnare qualcosa, ma a diventare una ironica barzelletta neanche troppo divertente. Mandare un messaggio encomiabile in modo originale e ammiccante è pretesa interessante ma non è detto che sia alla portata di tutti.

domenica 5 agosto 2018

Sorgo rosso (Mo Yan)


Questa Cina una volta così lontana, ora così vicina, anzi ormai compenetrata al mondo occidentale. Le sue lotte, le sue indipendenze e dipendenze. Una storia con sviluppo temporale non lineare, dove l’ultimo erede di una famiglia insofferente e ribelle ripercorre i passi salienti dei suoi avi, nonni e genitori in particolare.
Luoghi remoti di in paese vastissimo ed ormai superaffollato, durante gli anni violenti e devastanti delle tensioni interne, fra giapponesi invasori, comunisti ribelli e nazionalisti.
Un violento casino, dove però ci sono sentimenti, di tutte le razze e le geografie sentimentali. Amore odio coraggio paura e a volte anche un po’ di follia
Un incedere sempre compassato indirizza la narrazione su più piani temporali, in un periodo dove l’area cinese interessata dalla storia è solcata e a volte violentata dalle crude e impietosi leggi di una guerra. E domina il paesaggio il sorgo, da dove viene distillato sapientemente da quelle parti un vino memorabile che nessuno sa perché sia così buono. Il segreto sta nel mischiarlo con l’urina ed uno di quei trucchi che non si possono svelare. Ed è comunque un sorgo rosso, come il sangue, che scorre a fiotti su queste terre dove la pace ha dimenticato di alloggiare anche un solo secondo.

Nella folle caducità umana, nella baraonda degli eventi casuali che sviluppano le vite di ciascuno, una sorta di elogio della lentezza dei momenti che contano, anche se alla fine paiono crudeltà e violenza a sopraffare ogni efflato di amore. Yu Zhan'ao, il protagonista narrato dal nipote, è uno di quei personaggi che si ama o si odia, vittima e carnefice, eroe e brigante, innamorato e promiscuo, simbolo della ineffabile imperfezione umana. Echi del Marquez più famoso, in particolare sulla tragica ineluttabilità del destino e sulla cadenza ancestrale del nostro essere, ma sono dettagli.