Freddo. Luglio. Antitesi semantica atta ad ammiccare alle feconde e talvolta invereconde diatribe che si innescano nelle anime apparentemente placide e tranquille e che invece sono conturbanti e perturbate. Ma non è questione solo di clima, o di stagioni. Sono vortici e sabbie mobili che si stabilizzano nella jungla psico-emotiva di ciascuno.
Da tempo immemorabile si ragiona sull'essere o sull'apparire e la letteratura in merito è corposa quanto apparentemente incapace di dissolvere i dubbi, di dissipare incertezze e finalmente definire per sempre ciò che per sua natura appare indefinibile in toto: l'essere umano, così fragile eppure così persistente nell'ordinare il disordine, nel districarsi nel caos a volte calmo, a volte furastico e furioso, dell'esistenza.
Luglio è un mese estivo, umido ed appiccicoso in un qualunque smalltown ubicata nel profondo sud statunitense, e ancor più in un Texas xenofobo e conservatore, arroccato sui saldi principi della patria e dell'onore, della purezza della razza bianca e delle leggi federali, ancora incredulo di fronte ad alcune dissoluzioni della società e di quel pilastro inaffondabile chiamato famiglia su cui si poggiano le speranze di immutabilità di qualsiasi società più o meno liberalmente conservatrice.
Siamo a casa di Richard Dane, onesto artigiano che veleggia felice verso i quaranta anni senza grossi sussulti, diviso fra la sua piccola azienda e una moglie pratica quanto sensuale, umorale quanto innamorata e fedele.
Una coppia, un figlio, un passato abbastanza quieto di un amore nato sui sedili reclinabili e sgangherati della solita Ford di seconda mano, ed un futuro apparentemente se non vibrante perlomeno gratificante e rassicurante. Ma l'intrusione di un ladro in una notte calda ed afosa squarcerà i veli e si aprirà un buco dell'anima da cui sgoccioleranno velocemente via tutti i buchi neri della galassia Richard, fino a trascinarlo in una avventura sanguinaria e truculenta in nome della ricerca di giustizia che poi così giusta e giustamente perseguita non è, ma l'azione nasce più che altro per placare quella sete di conoscersi appieno scaturita dall'imprevisto.
Un pacifico ed innocuo esponente della middle-class sudista americana, quieto e produttivo, verrà così cavalcato dal ricordo del padre suicida ed edipicamente si rimetterà quasi supinamente alla bizzarra voglia di redenzione del suo amico-nemico Russel, violentemente entrato nella sua vita, un ex galeotto alla ricerca del tempo perduto, che lo catapulta in un rumoroso, tempestoso, paradigmatico e ruvido vortice di rimorso e rivendicazione, aspirazione e disperazione, coraggio e paura, un turbinio psico-emotivo scandagliato dalla ricerca della vera identità del ladro ignoto freddato a pistolettate da Richard il cowboy, in nome della legittima difesa e della sacra inviolabilità della proprietà privata.
La trama è abbastanza sostenuta e si dimena fra il poliziesco e il noir. Ed in questo plot ognuno capovolgerà la propria apparente tranquillità o il suo esasperato disordine, nel suo perfetto contrario, in una sorta di rivoluzione copernicana di quello che si è stati o si pensava di essere, cosicché il bene ed il male non avranno una demarcazione precisa, didascalica o moralisteggiante e la violenza ora torbida ora passionale ora semplicemente cieca e sorda irromperà in questa provincia così apparentemente statica ed invece imperversata da turpi terremoti di corruzione, psicolabilità, ossessioni e macabri riti.
Stile scorrevole, graffi ironici o di denuncia su uno status quo americano ormai archetipico, contesto sociologico appena tratteggiato ma con efficacia e senza ridondanze di sorta, personaggi forti e imprevedibili, espressionismo linguistico calibrato e con una certa sapiente commistione fra gergo volgare e metafora improbabile, atta a diluire i momenti di tensione o le improvvise scivolate nello sdolcinato. Nulla a che vedere comunque con la saga più famosa di Lansdale, quella di Hap e Leonard, di cui ho particolarmente gradito "Il mambo degli orsi".
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Pubblicata altrove (anche su ciao.it)
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