21 agosto 2014

Il condominio (James Ballard)


L'erba del vicino è sempre più verde? Ditelo avanti, non abbiate paura. Chi non ha mai litigato ad una riunione condominiale, chi non parla mai di quello del piano di sopra, chi non osserva bramoso l'amante di quel fesso del terzo piano. Avanti confessate, il condominio vi renderà semplicemente umani, cioè bestie. Esatto. Animali, punto. 


C'è questa costruzione monolitica e sovrastante. Che si slancia quasi elegante in alto, verso il cielo. Ma non si vuole raggiungere Dio, almeno questa volta. O forse sì, ma non è l’aspetto principale. Il condominio in questione è una gigantesca, totalizzante costruzione a fini abitativi, che arriva ad ospitare ben duemila abitanti, come una piccola cittadina. Ma non è un’oasi nel deserto, siamo a Londra. Una sorta di soluzione alla cementificazione selvaggia ed apparentemente necessaria, inarrestabile. Invece di occupare il suolo, oramai di rado libero, si aggredisce lo spazio, il sopra, non il sotto. All’interno abbiamo ovviamente ogni genere di possibile confortevole aiuto al vivere moderno. Ci mancherebbe. Il tutto raggiungibile schiacciando i pulsanti di veloci ascensori super moderni. E dunque non possono mancare piscina e sauna, supermercati, ma anche l’asilo, la banca, tutto ciò che troveremmo in orizzontale ora si slancia verticalmente. E come nella società, ai piani bassi tutto è più minuto, morigerato, quasi low-cost. Poi più si sale, più aumentano dimensioni e dimensionanti confort. All’ultimo piano, come quasi un tempio postmoderno, vive in un più che lussuoso, immenso e surreale attico l’architetto che ha realizzato il grandioso progetto. Cioé Anthony Royal. Bisbetico, burbero, ossessionato dal contatto con altri esseri umani specie se dei piani bassi, turpi e turgidi, a suo parere. Uno dei protagonisti della storia, rappresentante eccelso e leader maximo dell’upper class. Perché c’ è di tutto in questo microcosmo internato nel cemento. Duemila abitanti del grattacielo. Con rappresentati tutti i generi di attività, livello, idee politiche e gusti sessuali. L'umanità nella sua interezza o quasi. Che si riflette nei giganteschi parcheggi adiacenti l’edificio, una sterminata massa di automobili che varia in cilindrata, dimensioni, optional. Ma come ogni condominio, la civile convivenza è una pratica difficile da mettere in atto. Anzi. Ci si abbrutisce spesso anche se con i vicini di piano ci sono al massimo, quando dice bene, meri contatti formali. Ma si sa. Nelle nostre seriali esperienze bastano già massimo quattro famiglie a generare screzi, ripicche, litigi e sguardi in cagnesco. Con centinaia di persone il tutto riverbera. Il convivere nello stesso abitato diventa un guerra, senza esclusione di colpi. Lo sa bene il giovane medico Laing che da settimane osserva come stia strisciando e montando un sentimento di insolenza, violenza, dissolvenza. E forse cova rabbia e speranza di riscatto il terzo ed ultimo degli attori della storia, assieme all’architetto Royal e al medico, ovvero Wilder, un giornalista del genere sfigato che con ansia ossessiva brama avidamente una colossale e rivoluzionaria rivincita sul mondo che lo sovrasta. Tutti si aspettavano un errore di un altro, per dare fuoco alle polveri. Ed ecco il caso. Una sera, un guasto elettrico, tre piani in preda al blackout. Quindici minuti, ma di puro, efferato panico. Chi vuole scendere, chi salire sulle scale, chi litiga e basta, chi ne approfitta per qualche dispetto o ruberia. Chi finalmente può palpare impunito il deretano di quella sciantosa dell’appartamento di fronte. Succede sempre così. L’erba del vicino è sempre più verde e se capita l’occasione non si cura un proprio orto, ma si occupa il terreno dell’altro, specie se si è smaccatamente più forti ed allora la vittoria è certa. O almeno così pare. Da lì niente più pace. Aumentano blackout e dissidi. Scoppia addirittura il cosiddetto famoso e famigerato odio di classe. Quello che avrebbe dovuto portare la giustizia sociale, per dire ed invece nella nostra realtà attuale ci ha regalato alla fine Putin e l’attuale oligarchia russa. Regna allora la mera violenza: sabotaggi di ascensori, barricate, uccisioni, rappresaglie, il tutto ambientato in una mastodontica costruzione oramai abbandonata a sé stessa, dove nessun servizio funziona più, sia per mancata manutenzione, sia per deliberata violenza dei suoi inquilini. I quali peraltro sono ormai alienati ed alieni, dal grattacielo non si scappa, si rischia di perderlo per sempre. Rimane l'unico vero mondo in cui vale la pena vivere. Non si riesce più nemmeno ad uscire fuori, si tronca così ogni contatto con il mondo esterno. O quello che una volta era considerato tale. « Ora che tutto era tornato alla normalità, si rendeva conto con sorpresa che non c'era stato un inizio evidente, un momento al di là del quale le loro vite erano entrate in una dimensione chiaramente più sinistra. » Così cita giustamente dal libro anche il sito divulgativo di Wikipedia, nel resoconto al romanzo. Ed è così. Una totale assenza di controllo, un disordine che porta un nuovo ordine basato sulla morte e che non avrà rinascita ma un futuro nuovo caos. Al di là di quello che possono teorizzare o meno psicologi, sociologi, antropologi, l'uomo era e rimane (rimarrà credo) l'animale meno sociale e più violento attualmente conosciuto. L'unico capace di sterminare anche i suoi simili non in preda a necessità vitali ma superflue, per mera voglia, esibizionismo, l'unico capace di non rispettare le leggi della Natura, che altresì vien violentata e spadroneggiata. Opera dunque di quelle apocalittiche, catastrofiste, dove ad una situazione estrema si reagisce con atteggiamenti estremi, out of border, uscito nell’oramai lontano 1975. Autore James Ballard, nato nel 1930 e morto nel 2009,britannico ma nato in Cina, spesso noto per le sue produzioni dove si fondono cinismo, pessimismo cosmico e visone surrealista della realtà a lui contemporanea. Se Ballard voleva darci l'ennesima metafora di questa incontrovertibile verità, c'è riuscito. Un romanzo bollato come fantascienza, ma non lo è purtroppo. E Ballard, per quanto eccessivamente prolisso e psicanalitico a scapito dell’equilibrio del pattern narrativo, è romanziere capace di prove così letali, dissuadenti, ammonitorie. Non mi risulta congeniale il suo modo almeno qui di inserire disamine di carattere psicologico che appesantiscono e non direzionano il testo, peraltro spesso incomplete, ridondanti. Con evidenti differenze stilistiche, contestuali e se vogliamo con fini diversi, di quelli da me letti solo Saramago con Cecità e Mc Carthy con La strada avevano comunque saputo dipingere mondi cosi incrudeliti, avariati e terribilmente umani. Questi ultimi due tuttavia con maggiori doti narrative a mio a parere, tanto da rendere le loro opere delle lucide disamine, dei romanzi cupi,tenebrosi ma splendidi e splendenti. Ma si tratta sempre di motivate ma personali opinioni. Rispettabili certo ma non per forza condivisibili.

Pubblicata su ciao.it il 17.07.2012

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