Improponibile giovane Werther,
incline al romantico o all' intenso come Francesco Totti all'hockey su
ghiaccio, questo Volo senza ali, questo Volo con i piedi radicati a terra e
sprofondanti nella melma della banalità, sforna una sorta di diario confessione
che fa da splendido contraltare alle pseudo avventure erotiche della Melissa
P., regalando una lettura insipida come una saponetta dell'hard discount e
proponendo contenuti gustosi come uno yogurt scaduto. Moderno come
un'anticaglia ritoccata al computer, ironico come un testamento o un salmo
funebre, frizzante come l'acqua di una fontanella frigida e accaldata, questo
libro è un impressionante, sconfortante, indomabile affollamento di frasi già
sentite, di metafore (?) già ascoltate e di un linguaggio, falsamente gergale, da bar dello sport che probabilmente era vecchio già per il mio caro e defunto nonno.
A metà tra il tentativo di romanzo e l'autobiografia,
abbiamo come unico e indiscusso personaggio Nico. Single invincibile con le
donne ma che poi sta sempre solo a meditare profondamente sulle realtà della
vita (chi sono? Che faccio? Quanto sono bello? Quanto sono intelligente?), Nico
soffre per troppo amore, perché le donzelle tanto vengono e suonano al citofono
e imboccano dentro casa già umide e vogliose, mentre lui è somma massima di
incapacità assoluta a progettare, a pulire la cucina, a vivere la vita come la
maggior parte di noi la vive e l'ha vissuta.
Si, siamo nel ventunesimo secolo, la capacità di
vendersi è decisamente più in voga della capacità di capirsi. Anche perché
tutto sommato non c'è tempo. Le notti sono sempre più brevi, i giorni sempre
più densi ed affollati, le innovazioni teconologiche sono capaci di miracoli
fino a poco tempo fa impensabili.
La trama, la tensione, il pattern narrativo non
esiste, tutto è magicamente fuso in una candida, irreprensibile accozzaglia di
luoghi comuni, di battute da bar, di barzellette lette magari via mail, di
ribelle senza ribellione teso a presentarsi come ragioniere e ragionevole
essere che non si vuole omologare e sprofonda nella omologazione più bieca e
viscida, quella appunto che vuol sembrare altro da se.
Stile impalpabile, ritmo diseguale ma tendente
all'amorfo come il suono di una radio sull'orlo di una crisi di nervi,
"Esco a fare due passi" è una irritante passeggiata di 175 pagine
dove l'io narrante ci racconta la sua esistenza con i suoi teneri, coccolati 28
anni vissuti nella piena bambagia, una vita vissuta nell'agio, nei problemi già
risolti, nelle mastrubazioni mentali tipiche di chi può pensare al nulla non
avendo nulla da fare.
Novello Orgasmo da Rotterdam (anzi, da Milano), il
tipo ci racconta il lungo sequel di inneffabili conquiste femminili a iosa che
non divertono ma soprattutto sconfinano nel cieco maschilismo e nel mesto
coattismo borgataro tipico non solo di Roma, quando lo stesso io narrante si
definisce "femminista moderato" e in 175 pagine le donne sono solo
tette-culo-fica-rapporti orali stop. Niente male, direi. Niente bene anche. Niente, ecco,
la parola giusta.
Un'orgia di autocommiserazione e di giustificazionismo per dare presentabilità
ad una vita impresentabile, solida come il burro, vera come la fiction,
divertente come una tragedia di periferia, una ricetta indigeribile di questo maitre a penser senza nerbo e senza stile, uno per cui i politici vanno sempre
e solo all'inferno, e il lavoro ed i soldi non contano per nulla, tanto lui ha sia
l'uno che gli altri.
Una mera dissolvenza costruita da questo autore di "grido", che
elabora la sua poetica leggendo rotocalchi alla moda, con ad ogni pagina sesso
usa e getta che non é né volgare, né irriverente, né erotico né mordace, ma
solo una elegante e assolutamente insapore goliardata che non fa ridere, con
frequenti riferimenti al bene e al male della cannabis con canne a go-go che
sono solo fumo che si disperde nell'aria, solo colore stonato per un ritratto
generazionale amorfo come i presunti testosteroni che pubblicizzano alla tv e
promettono miracoli sul nostro corpo in inesorabile decadimento.
Insopportabile poi perché assolutamente patinato e vero come un trucco del mago
Silvan il ritratto o gli accenni ai genitori, che questo ventottenne alla
deriva racconta come se avesse sessanta anni lui e facesse cure eterne di
pillole di saggezza al sapor di figlio malinconico. Semplicemente orripilante,
pallido, sfuocato, vuoto come il portafoglio di uno spendaccione, il ricordo
dei nonni. Da questo menage familiare che riabilita qualsiasi famiglia Addams
medio borghese che vive in qualunque provincia italiana, non può che scaturire
un impegno politico pari allo zero assoluto e un qualunquismo opinionista sul lavoro
da mettere i brividi. Brividi di paura, ovvio.
Moderno come un'anticaglia ritoccata al computer, ironico come un testamento o
un salmo funebre, frizzante come l'acqua di una fontanella frigida e accaldata,
questo libro è un impressionante, sconfortante, indomabile affollamento di
frasi già sentite, di metafore già ascoltate, accoppiamenti innaturali di bella
teoria-scarsa pratica o adolescente teoria e invecchiata pratica, come le
risibili pagine sull'amore per la masturbazione, altri dieci fogli creati
strappando cellulosa dagli alberi ma non ossigenando nessun animo minimamente
intelligente o quantomeno affine all'intelligenza. Tal Fabio Volo, ormai sulla cresta dell'onda, dee jay di grido e sicuramente
avviato ad essere il guru del nulla, dell'ovvio, del banale e dello scontato,
ci affresca dunque malamente e stolidamente quello di cui ora io non ho bisogno
e non ne avrò, credo. La letteratura può essere memoria, testimonianza, intrigo, passione, oppure
scambio e confronto con il lettore, un interagire sulla base delle impalpabili
regole del fantasticamente reale o realisticamente fantastico.
Questo è un romanzo invivibile, il suo messaggio è spento o inesistente come a volte i cellulari di cui il protagonista, alla fine, ammette l'importanza e l'assoluta dipendenza.
Si, Nico sostiene di essere immaturo. E questo romanzo più che immaturo, o magari marcio, è una narrazione mai nata, una narrativa senza futuro. Non abbiamo sogni, non abbiamo proposte o tantomeno risposte, non abbiamo una convincente e magari personale ricordanza della propria gioventù o della propria generazione.
Il narratore del momento, il professore dei sentimenti veri, l'egregio Dottor Moccia di Tre metri sopra il cielo hanno finalmente un degno e validissimo alter ego del nulla.
Questo è un romanzo invivibile, il suo messaggio è spento o inesistente come a volte i cellulari di cui il protagonista, alla fine, ammette l'importanza e l'assoluta dipendenza.
Si, Nico sostiene di essere immaturo. E questo romanzo più che immaturo, o magari marcio, è una narrazione mai nata, una narrativa senza futuro. Non abbiamo sogni, non abbiamo proposte o tantomeno risposte, non abbiamo una convincente e magari personale ricordanza della propria gioventù o della propria generazione.
Il narratore del momento, il professore dei sentimenti veri, l'egregio Dottor Moccia di Tre metri sopra il cielo hanno finalmente un degno e validissimo alter ego del nulla.
Nessun commento:
Posta un commento