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Benessere, benestanti. Fuga dall'io e dal dovunque, naufragio nel qualunque, nel chiunque. Riviera adriatica, 1983 ed anni precedenti. Una sorta di refrain di cool-rock con improvvise e sincopate incursioni di sonorità a carattere jazz sul tema. Una polifonia forse stridente, uno spartito forse troppo pensato che non si fa pura e vera musica ma che talvolta si lascia vincere dal perfido e infastidente rumore. Non è il romanzo o meglio lo scritto (sarebbe apparso più congruo assemblare lo scritto come una raccolta di racconti) più completo di Pier Vittorio Tondelli questo Rimini (1985), ma probabilmente ne rappresenta
l'apice in senso di poetica e progettazione. Costruito su diversi segmenti narrativi che si intersecano quasi per caso: il filone centrale è rappresentato dal cinico giornalista Bauer e dalla storia delle sue incredibili peripezie poliziesco-politiche sulla riviera romagnola come caporedattore della pagina locale di un noto giornale in luglio e agosto. Con discrasie narrative e iati di vario tipo a carattere spazio-temporale, si narrano una accanto all'altra storie diverse., Il suonatore di sax forse risulta la voce più potente e maschia, un ruggito di dolore scomposto e per nulla rassegnato anche se sconfitto in partenza, perché non è vero che il gioco è uguale per tutti e l'importante è partecipare, e tuttavia la meravigliosa pagina del suono del sax che sfiora e carezza tutti i visi, gli ombrelloni e le illuminate facciate di quel paradiso artificiale anni ottanta rimane una tra le più belle di quelle tondelliane: "Suonò con foga, passione, con rabbia, con amore e il suo canto rauco si aprì attorno a lui e dai suoi polmoni, dal suo cuore, da suo vecchio sax si allargò sulla spiaggia, superò la linea colorata delel cabine, si distese sul viale del lungomare (...) andò sull'insegna del Top-in (...) sui viali della circonvallazione e finalmente si aprì fino ad abbracciare tutta la riviera. Andò sui volti tirati dei camerieri e delle ragazze di servizio". Come intense sentite, trascinanti, vere, crudeli ma grondanti lacrime e sangue non di mera fiction sono le pagine dell'amore gay tra May e il giovane squinternato squattrinato pittore scozzese in una Londra molto radical chic e post punk, proprio come doveva essere la capitale inglese ad inizio anni ottanta, in piena fase di ascesa reazionaria marchiato Tatcher. Un romanzo che, come gli altri dello scrittore emiliano, evidenzia tracce nemmeno nascoste di evidente autobiografismo, fedeli alla linea più volte ripetuta e ribadita che letteratura e vita non possono camminare distaccate e che si nutrono ognuna dell'altra anche se, e si avverte distintamente, questo è un romanzo costruito a priori, quello dove più fortemente Tondelli ha voluto dividersi dal narrato diventando scrittore-altro dal racconto, proprio per
dare vita ad un mondo variegato e meno scompostamente ridondante di quello che anima per esempio i racconti di Altri libertini o le vicende (e spesso vicissitudini) di amori omosessuali sparse in Pao pao (1982) e liricizzate quasi a futura memoria nella intensa e lancinante storia d'amore di Camere separate (1989), in un'epoca dove l'attrazione sessuale verso il proprio sesso era considerato in medicina come disturbo o peggio malattia. Ci sono però brevi accelerazioni in Rimini che sono molto riuscite, liricamente intense, dove pare che il freno del progetto da realizzare e la volontà di compostezza e misura cedano il passo al Tondelli più ispirato, libero da lacci e vincoli dei meccanismi narrativi di architetture romanzesche solide e strutturate a tavolino, dove la vita si fa spazio fra gli interstizi del corposo ed ambizioso desiderio di offrire su un piatto d'argento di una pagina di prosa la metafora di Rimini come punto di incontro e scontro delle necessità e delle contraddizioni di una generazione molto arrivista e nello stesso tempo low profile, alla ricerca di sé stessa molto di più che del benessere, stentorea e lapidaria per finta, silenziosa nella sua logorrea vacua e che vaga a tentoni alla ricerca di un pensiero stabile da plasmare, stentata nelle ambizioni, nei sentimenti, nel godimento e nello stordimento. Colpi d'autore calibrati su un obiettivo preciso, colpi non a salve ma forse sprecati in un pattern nel complesso deficitario. Se Moravia aveva dato un'unica e ampia panoramica quanto mai sconvolgente degli anni trenta con Gli indifferenti, se Balestrini più di 50 anni dopo ha provato di dare una sua parziale ma totalizzante fotografia della sua generazione e delle lotte degli anni settanta con Gli invisibili, ebbene Tondelli avrebbe potuto intitolare il suo lavoro Gli insofferenti. Uomini e donne in preda a smanie e tensioni, dimidiati nel profondo e alla continua ricerca, perpetuati e perpetrati alla dannazione, quasi convinti di non dover essere lì ed a quel modo eppure tenacemente divorati dalle loro personali ossessioni e dei drammi laceranti delle loro vite disordinate e spesso sconsolatamente prive d'affetto. Emerge un quadro sostanzialmente molto negativo della società contemporanea e dei meccanismi che la tengono in vita come perfidi incubatori di uno spirito occidentale ormai al decadimento totale nelle carni e nelle azioni. Non si nasconde una dolorosa presa d'atto che certi meccanismi e certi comportamenti per quanto apparentemente naturali vivano sena scomporsi in una dimensione stereotipata, fino a comporre un quadro fisico (e non metafisico) che ha caratteri - anche nei più minuti gesti quotidiani - di una teatralità più che rassicurante pesantemente indigesta.
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