Povero mister J. Edgar Hoover. Fa quasi pena. Un vero dramma.
Una terribile condanna gli pende sul capo. Interi decenni a fare lo stesso
lavoro. Alla faccia della flessibilità auspicata dal nostro Presidente Monti,
oggi. Che lavoro, poi. Non sta in catena di montaggio, non scava per decenni
nei tunnel angusti di una miniera, non coltiva patate nel deserto aspettando le
piogge benefiche. Il suo è uno di quegli impieghi che meritano di far
rispolverare una delle battute più citate ovunque, oramai più che da bar da
social network, ovvero "è uno sporco lavoro ma qualcuno dovrà pur
farlo".
Già. Peccato che il suo sia un incarico non solo gravoso, ma uno di quelli
decisivi per scrivere la vita, non quella tua personale, ma di decine e decine,
centinaia di persone. Una attività che alla fine serve per allacciare i fili di
quella massa disordinata e gelatinosa che qualcuno chiama trama della Storia.
Perché alla fine mister Hoover, volenti o nolenti, di sicuro nella vita ha
fatto una sola cosa: il direttore del FBI, l'agenzia investigativa federale
degli Stati Uniti d' America, non la caserma di una sperduta frazione
provinciale di uno stato fantoccio o similia. Bene o male che abbia fatto, ha
letteralmente dominato una fetta assai consistente e preponderante, se non
totalizzante, della vita interna di una nazione che a sua volta ha
padroneggiato in lungo e in largo la storia del secondo Novecento e fino alla
fine del secolo scorso, anno più anno meno. Gli Usa, come forse noto, erano il
guru economico, sociale, politico e talvolta musicale dell'Occidente
apparentemente onnipotente.
Mister Hoover, god bless
you, forse.