Ci sono mille modi di raccontare la guerra e la bestialità degli uomini. Perché la condanna è una, ma può avere mille sfumature. Con ritmo, brio e disincanto, David Benioff (pseudonimo di David Friedman, scrittore e sceneggiatore statunitense del '70) ci racconta l'efferato assedio nazista di Stalingrado come non era mai stato fatto prima. Per avere un paragone, basti ricordare la fiabesca narrazione dell'Olocausto fatta da Benigni con "La vita è bella". Così, per indignarsi con il sorriso, consiglio vivamente "La città dei ladri".
Avanti allora, facciamoci guidare da Lev e Kolja in questo viaggio strampalato, crudele eppure magico.
La guerra è terribile, ovvio. E non c'è niente di peggio che un assedio. Lungo ed inesorabile. Comincia a mancare tutto, compresa l'aria o quasi. Terribile.
Cosa succede
allora a Stalingrado nel terribile inverno del 1942?
Lo so che lo sapete, come no. La città è circondata dai nazisti e pare proprio sul punto di capitolare. Ma non sarà così e per l'orda tedesca invasiva ed violenta sarà l'inizio della fine. Ma non succede solo questo, perché in quei duri mesi in preda a bombardamenti e all'isolamento ci sono anche le strabilianti avventure di Lev e Kolja.
Come chi sono?
Due figure, due personaggi difficili da dimenticare. Epigoni di illustri antecedenti che hanno fatto la fortuna del romanzo ottocentesco di formazione. E di autori come Jack London, non a caso più volete espressamente citato.
Lev è il più piccolo. Sta passando dai brufoli alla barba. Un momento catartico per qualunque futuro uomo. Risulta presunto ladro, è timido e sognante come tutti agli adolescenti. Kolja ha l'ardore ed il furore dei suoi venti anni, beati e irriverenti. Anche con tutta quella neve, è sempre caldo, passionale, focoso. Troppo esuberante forse, si crede troppo furbo e non rispetta una regola neanche ad ammazzarlo. Viene accusato di diserzione. In fondo voleva solo trovare e possedere una donna, ma è un militare, non si può fare, siamo in guerra.
Lo so che lo sapete, come no. La città è circondata dai nazisti e pare proprio sul punto di capitolare. Ma non sarà così e per l'orda tedesca invasiva ed violenta sarà l'inizio della fine. Ma non succede solo questo, perché in quei duri mesi in preda a bombardamenti e all'isolamento ci sono anche le strabilianti avventure di Lev e Kolja.
Come chi sono?
Due figure, due personaggi difficili da dimenticare. Epigoni di illustri antecedenti che hanno fatto la fortuna del romanzo ottocentesco di formazione. E di autori come Jack London, non a caso più volete espressamente citato.
Lev è il più piccolo. Sta passando dai brufoli alla barba. Un momento catartico per qualunque futuro uomo. Risulta presunto ladro, è timido e sognante come tutti agli adolescenti. Kolja ha l'ardore ed il furore dei suoi venti anni, beati e irriverenti. Anche con tutta quella neve, è sempre caldo, passionale, focoso. Troppo esuberante forse, si crede troppo furbo e non rispetta una regola neanche ad ammazzarlo. Viene accusato di diserzione. In fondo voleva solo trovare e possedere una donna, ma è un militare, non si può fare, siamo in guerra.
Bella coppia insomma, giovanissima di età, piena di
coraggio e di paura. Due insomma che non se la passano bene, visto che vengono
beccati dalla terribile ed inesorabile polizia russa, efficientissima anche
quando le condizioni politiche sono sull'orlo del baratro, con i nemici che
scalciano violentemente alle porte della città.
Lev è ancora preda della sue età, cerca di sopravvivere fra le macerie e la fame, ha solo la colpa di beccare un paracadutista nemico morto, ma pieno di gingilli addosso. Beccato da una ronda, vede i suoi giovani compagni scappare al di là di un muro mentre lui per salvare quella che era il suo primo sterile e infantile amore, rimane attardato. Preso e portato di peso al comando di polizia.
In carcere troverà il suo compagno di avventure. Saccente, strafottente e tutto teso a magnificare le doti di uno scrittore russo che però conosce solo lui. I due potranno scampare la condanna a morte per i terribili reati commessi solo se procureranno al comandante di zona uova fresche per il matrimonio della figlia.Peraltro, per dire, una gran bella gnocca, stupida quanto basta. Pochi giorni, un'impresa titanica, quel cibo si trova solo in campagna e lì ci sono gli assedianti. Cannibali che occultano corpi per mangiarseli, ufficiali nazisti in agguato, prostitute russe in attesa del principe azzurro liberatore, un partigiano infallibile cecchino che però è una donna. Una fiaba magari. Però qui si muore sul serio, anche se col sorriso sulle labbra. Chissà se ce la faranno. A vederli, non potranno mai. Ma si sa. Due giovani così eterogenei potrebbero essere capaci di tutto. Sorprese a non finire, non tutte a lieto fine. Le favole sono crudeli. Ti dicono tutto, anche quello che, volenti o nolenti, preferivamo non sapere.
Lev è ancora preda della sue età, cerca di sopravvivere fra le macerie e la fame, ha solo la colpa di beccare un paracadutista nemico morto, ma pieno di gingilli addosso. Beccato da una ronda, vede i suoi giovani compagni scappare al di là di un muro mentre lui per salvare quella che era il suo primo sterile e infantile amore, rimane attardato. Preso e portato di peso al comando di polizia.
In carcere troverà il suo compagno di avventure. Saccente, strafottente e tutto teso a magnificare le doti di uno scrittore russo che però conosce solo lui. I due potranno scampare la condanna a morte per i terribili reati commessi solo se procureranno al comandante di zona uova fresche per il matrimonio della figlia.Peraltro, per dire, una gran bella gnocca, stupida quanto basta. Pochi giorni, un'impresa titanica, quel cibo si trova solo in campagna e lì ci sono gli assedianti. Cannibali che occultano corpi per mangiarseli, ufficiali nazisti in agguato, prostitute russe in attesa del principe azzurro liberatore, un partigiano infallibile cecchino che però è una donna. Una fiaba magari. Però qui si muore sul serio, anche se col sorriso sulle labbra. Chissà se ce la faranno. A vederli, non potranno mai. Ma si sa. Due giovani così eterogenei potrebbero essere capaci di tutto. Sorprese a non finire, non tutte a lieto fine. Le favole sono crudeli. Ti dicono tutto, anche quello che, volenti o nolenti, preferivamo non sapere.
Ci sono tanti modo di raccontare
episodi storicamente accertati di crudeltà e delirio umani. Da poco avevo
apprezzato Foer ed il suo a volte surreale resoconto di un 11 settembre 2001
molto intimista e poco populista con "Molto forte, incredibilmente
vicino". Ora è la volta di questo talentuoso e bizzarro Benioff che riesce
ad alleggerire in maniera encomiabile il terribile assedio tedesco a
Stalingrado, tirando fuori una storia picaresca e per certi versi con evidenti
echi ottocenteschi. Riusare insomma tipici stilemi classici ma per raccontare
le tragedie di una guerra e di un assedio che è rimasto nella Storia
Operazione tipicamente postmoderna, ma con spessore e trovate di indubbie qualità narrative. Le terribili condizioni ambientali ed atmosferiche, le avventure intinte di un sapore grottesco che sfocia quasi nell'orripilante, hanno una leggiadria, una spensieratezza ed una dolcezza davvero rilevanti. Anche nei momenti topici, talvolta sanguinolenti, si è capaci di mantenere un registro ironico e giocoso che non risulta mai, ma proprio mai di cattivo gusto. Non so se vi ricordate il film con Benigni che vinse l'oscar, "La vita è bella". Ebbene anche lì si raccontò con apparente frivolezza ed allegra poesia il dramma della deportazione degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Paragone che ci sta tutto. Non hanno punti in comune se non l'analoga voglia di raccontare una bella storia ma contestualizzandola in drammi che ancora oggi fanno tremare e che non bisognerebbe mai dimenticare.
Operazione tipicamente postmoderna, ma con spessore e trovate di indubbie qualità narrative. Le terribili condizioni ambientali ed atmosferiche, le avventure intinte di un sapore grottesco che sfocia quasi nell'orripilante, hanno una leggiadria, una spensieratezza ed una dolcezza davvero rilevanti. Anche nei momenti topici, talvolta sanguinolenti, si è capaci di mantenere un registro ironico e giocoso che non risulta mai, ma proprio mai di cattivo gusto. Non so se vi ricordate il film con Benigni che vinse l'oscar, "La vita è bella". Ebbene anche lì si raccontò con apparente frivolezza ed allegra poesia il dramma della deportazione degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Paragone che ci sta tutto. Non hanno punti in comune se non l'analoga voglia di raccontare una bella storia ma contestualizzandola in drammi che ancora oggi fanno tremare e che non bisognerebbe mai dimenticare.
Pubblicata sul sito www.ciao.it il 02.01.2013
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