21 settembre 2013

Molto forte, incredibilmente vicino (Jonathan Safran Foer)

11 settembre 2001. Televisioni accese, torri che crollano. E che torri. Quelle gemelle, a New York, il centro del mondo anche se un poco troppo a nord. Il piccolo Oskar non potrà dimenticare, anni dopo. Suo padre era lì dentro e lì è rimasto. Non tornerà più. Se non come ricordo, suggerimento o presente assenza. Anche se la madre fa del tutto, non basta, ci mancherebbe. Un figlio ha biosgno del padre. O perlomeno ha bisogno di saperlo che c'è, anche per contrastarlo. A volte onirico e spiazzante, forse con eccessiva irruenza e poca sagacia, un racconto perimetrale ad dramma che ncora oggi rimane nella memoria collettiva. Il racconto di Jonathan Safran Foer su una vicenda ancora dentro i nostri occhi. E con molto altro di contorno.

Distanziare distanze


 
Oskar Schell è un bambino. 
Lucido, coraggioso, magari anche di più per la sua età. Ma rimane piccolo per un mondo troppo grande e troppo a misura di grandi, che non lascia spazio ai piccoli. Non è il solo sulla terra, si sa. Ma a quella età l'universo intero gira intorno al proprio io. Anche dopo, ma è un altro discorso. Peraltro è un mondo cattivo, che gli ha tolto l'amato, amatissimo, onnipresente e loquace padre. 
Già.
Proprio così. 
Thomas senior non c'è più. Un aereo nel settembre 2001 ha deciso, è stato deciso a schiantarsi sul grattacielo dove aveva un meeting di lavoro e puff. Per Oskar niente più papà. La colpa è di tutti. Degli arabi che hanno compiuto l'incredibile atto criminoso, della madre che sta provando a dimenticare cercando consolazione in un amico, di tutto il resto. Il bimbo non ha affatto digerito quell'amaro, velenoso, tragico boccone. Anche perché non aveva nessuna voglia di sedersi a tavola della vita e mangiare cibi del genere.
Papà gli manca e come. Spera sempre che in qualche modo possa ritrovarlo. O capire. Comprendere è difficile alla sua età e tanto sembra impossibile tanto diviene necessario. E quando Oskar, nel suo continuo ritornare all'indietro, quasi che la vita si sia fermata, trova una chiave nel suo sgabuzzino, decide che quella potrà aprirgli segreti inconfessati, schiudere porte impensabili. Magari in cuor suo spera che possa aprire la cassaforte dei suoi sogni e ridargli anche il padre. 
Solo un indizio. Blak, scritto sulla busta che contiene quell'inaspettato, prezioso, unico gingillo. 
Quindi niente di meglio che progettare di interrogare tutti quelli che portano quel cognome nella sua città. New York. milioni di abitanti, centinaia con lo stesso cognome. Ci vorranno anni, ma è giovane, ha tempo. anche se è preda di una dannata fretta.
Ma non è tutto qui.
Una nonna vecchia e malconcia, che lo ama con tutte le sue forze anche se è stata vittima di una vita invivibile ed ha amato l'impossibile, la storia con un uomo, suo marito, che non voleva parlare e che era perso nei ricordi della sorella di lei. Un uomo che assieme a lei aveva vissuto I tempi terribili della persecuzione agli ebrei e del bombardamento di Dresda (che sia stato Mattatoio n.5 di Vonnegut a dare il là?), uno degli episodi più crudeli, inutili della Seconda guerra mondiale. Posto che le stragi sono indifendibili a priori Dresda non aveva significato se non spargere la morte a caso, certi di una vittoria più sicura e più truce. Per inciso fece danni per certi versi più dannosi di Hiroshima e Nagasaki.

Non è solo la ricerca d'un padre perduto che non si ritroverà più. È un romanzo su più piani, di diverse letture. Il rapporto silenzioso fra i nonni che invade le pagine e le storie seguenti, fatto di espedienti grafici dove la pagina è totalmente bianca, per rendere l'idea di lontananza e vicinanza allo stesso modo.
A loro modo colmano un vuoto, nel loro incredibile e desertico rapporto. Perché la mamma di Oskar appare distante. Lontana, a cercare risate negli incontri con quello che chiama un amico che il figlio sostanzialmente non sopporta.
Solo la nonna è dalla sua, allora. 
E intanto nella ricerca del segreto della chiave Oskar verrà a contatto con gli adulti. che non sono meglio o peggio di lui, dei sui sogni, delle sue incertezze, delle sue incredibili e puerili ingenuità. anzi. Gli adulti sono adulterati, vittime come lui del mondo del caso e di sé stessi. Come un gioco senza fine che gioco non diverrà mai, eppure stanno a giocarlo tutti.



Purtroppo una guerra ha molte verità così come molte bugie. Purtroppo la morte è irrecuperabile, la fallacia degli umani una certezza in un mondo che invece dell'incertezza fa regola di vita. Il romanzo di Foer è un romanzo drammatico, che già dal titolo italiano ci parla degli incredibili incolmabili abissi che dividono e perdono. Spesso stiamo accalcati, uno sopra all'altro, sia fisicamente che emotivamente, legati da un caso della vita o da legami del sangue. eppure siamo come stelle lontane, veniamo divisi da spazi incolmabili, distanze siderali che neanche la fantasia può sognarsi di colmare. Anche quando ci si tocca o comunque si è sul punto di sfiorarsi.

Una realtà tanto prosastica quanto vera, che in Letteratura in tanti e in svariati modi hanno cercato di raccontare. Ed ecco allora il pregio ed il difetto principali del libro e dell'autore. Cercare una via nuova, una tersa via per narrare ciò che è stato narrato ma non esaurito. E nello stesso momento non riuscire a plasmare, irretire, armonizzare questa urgente impellenza, questo desiderio vivo. E così l'11 settembre, con i tragici risvolti, l'eccidio lontano e nello stesso tempo vicino di Dresda, le trovate grafiche e formali allo stesso tempo sono una forza ed un debolezza del romanzo.

E la poesia o lo spirito talvolta fiabesco che permea alcuni, molti dei passaggi dedicati ad Oskr Schell ed I suoi pensieri, timori, tremori in realtà celano e rimandano ad altri orizzonti, altre sfide, altre lotte, non solo e non per forza il drammatico scontro e la corposa incapacità di un bimbo ad affrontare il mondo così com'è, perché è un mondo difficile ed anche chi vuole bene, chi è fermamente convinto del bene e della sua forza catartica non può fare miracoli, anzi, deve solo cercare di far arrivare Oskar alla meta, alla accettazione totale anche se dolorosa di quello che ha intorno. e di quello che non avrà più. Ovvero un padre, amico, genitore e complice spesso e volentieri che nonostante i continui tentativi della madre di smitizzare, era e rimane un mito insuperabile, da raggiungere ovunque esso sia.

Sono passati oramai undici anni da un tragico evento che volenti o nolenti non solo ha aperto il secolo corrente ma ha segnato, come si dice epicamente, la Storia dei giorni futuri. Parlo dell'attentato alle Torri gemelle, New York,dell'11 settembre 2001. Un attentato le cui conseguenze sono state politiche, sociali, economiche e militari per tutto il mondo. O per gran parte di esso. Non solo dunque per gli Usa che lo subirono. Epocale, per dire. Dopo Pearl Harbour la nazione che più forte del mondo subiva un attacco efferato e inaspettato sul proprio suolo. Un'ecatombe.
Ovviamente ne ha risentito sia l'immaginario collettivo che la narrativa, non solo di romanzieri statunitensi. Ovvio che raccontare ciò che è stato chimicamente sviscerato e tra l'altro temporalmente troppo recente, comporta problemi a volte insormontabili. Il rischio di naufragare nel gossip, nella retorica, nella inchiesta giornalistica.
Fare poesia su un fatto di portata storica insomma può avere molti pregi ma anche molti difetti. Stucchevolezza, retorica, sentimentalismo. Foer è riuscito a sviare il problema e se volete a sorprendere, perché non è caduto nel lurido inganno di una bieca e banale ovvietà. Non che ci sia riuscito del tutto. 

Pubblicata su www.ciao.it il 04.11.2012

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