Amor, ch'a nullo amato amar
perdona sentenziava il sommo Dante. Il sentimento più
comune, invocato, vissuto, perso o ritrovato. Nella infinita serie dei romanzi
che provano a narracelo senza scadere nell’ovvio, ecco la storia fra Noa e Theo,
coraggiosi ed indipendenti, di mezza età ma non per questo non turbati dalla
passione. E sullo sfondo il conflitto arabo-israeliano. Non
aspettiamo mai la notte prima che finisca il giorno, ci racconta l’acuto
scandagliatore di sentimenti Amos Oz, scrittore israeliano.
Una storia di slanci, perdite,
distacchi, turbe, dubbi e ritrovamenti.
Un po' come è l'amore.
Ahi, l’amore, che brutta bestia, che suadente
angelo, “che roba” insomma, quello che volente o nolente ci si deve a che fare
a meno che non ci rassegna spingersi e piangere dicendo “è tutta colpa degli
altri”. E poi., sia detto per inciso, non si parla qui dell’amore quello
apparentemente terso e puro che si vive in epoche post adolescenziali anche di
ritorno, ma quello serio, per così dire, quello impegnato, quello che veramente
o la va o la spacca,
quello che insomma può decidere sul serio una vita, non una stagione, una
esuberanza ormonale, un. Quando poi il giorno dopo tutto ricominci come se
niente fosse. Qui ci si gioca un essere, un apparire, un volere, un potere. E
magari, anche se il sole tramonta, è bellissimo poterselo godere.
Conoscevo Amos
Oz, l’autore di questo
romanzo, per pura casualità, un libro recapitato per sbaglio, “La scatola
nera”, che lessi per curiosità e gratitudine all’anonimo postatore che errò
indirizzo (anzi, per dirla fra noi, a chi andava e magari perché?). Rimasi
abbastanza affascinato dallo stile (pur parlandosi sempre di traduzione da
lingua straniera, ATTENZIONE) e dalla facilità con cui questo scrittore, uomo,
indagava sentimenti femminili e maschili con sapiente sagacia, a mio modesto
parere, non con la solita rozza, facile, archetipica superficialità. Non che
l’uomo bruto e nudo sia sostanzialmente non degno di mettersi in parola, ma pur
sempre appare limitato, come lo sono le donne. Ma quel romanzo mi lasciò un segno,
anche per come riusciva a calare il lettore in un realtà così lontana ma nello
stesso tempo mass-mediatica del Kibbutz, la casa colonica (nel senso di
colonialismo) israeliana, ubicata in territori arabi o ex arabi o insomma,
Ma torniamo al nostro, di romanzo. Una splendida, vigorosa, efficace
narrazione. Fatta di capitoli alterni, dove uno dei componenti la coppia prende
la parola, non sempre in maniera matematica, talvolta seguono impressioni
dell’uno o dell’altra, tutto per il rendere la vicenda romanzata e non
semplicemente telenovelica o egocentrica.
Theo è uomo dall’affermazione
ultra-individualista, famoso nel suo paese e anche altrove, buon architetto,
ammanicato, che poi però ha scelto lo sdegnoso silenzio e l’appartarsi e
l’appartamento, trombato come altri, non solo nel senso volgare e di uso comune
destinato a pantofolaio, semplicemente nessuno gli dà e lui non sopporta più
certi meccanismi di potere non per questo decidendo che la sua sia incompetenza
in materia. Cova le braci dei suoi sogni distrutti dai venti della politica e
della disillusione, si avvicina o supera quell’età che prima o poi, dio
volendo, ci tocca a tutti ed insomma, fa abbastanza autocritica ma non troppa,
in fondo, anche se a volte nel modo sbagliato, ama. E’ ancora affascinante,
potrebbe avere ancora la conquista nel senso più volgare inteso, è ancora noto,
potrebbe ma insomma si è stufato, si vede che ha una certa stanchezza e
soprattutto, gli piace la donna accanto, fattore fondamentale per. Detto fra
noi talvolta ha la fascinosa e decrepita capacità di rompere i coglioni.
Scusate la parola, ma insomma. Capita. Poi si riprende. E’ come l’amore, quello
vero, una sorta di tartaruga più friabile e meno gusciosa ma pur sempre
retrattile.
Noa invece, più giovane e ancora
bella ma ancora impegnata però, ancora forse, sarebbe perfetta come una dea se
lei se non fosse che qualche dubbio affiora
anche se le rughe non sono così
sempre impietose Dati i tanti volgari, concupiscenti ed inutili pretendenti
alle grazie, è una donna fatta, insicura delle sue sicurezze e sicura delle sue
insicurezze. Non una donna perfetta, quelle stanno nei film e nei blog delle
ragazzette adolescenti, bella ed emotivamente attiva, certamente non ancora una
di quelle preda di sintomi post adolescenziali o tardo senili, seppur docili e
comprensibili. Può fare tutto, Noa,
che, come nel corso del romanzo si dice, non dà noia, ma Theo a volte scuote la testa e non dorme
eppure la ama o la cerca. Noe a volte lo ama a volte vorrebbe non amarlo ma poi
alla fine. Magnifico, come raccontato, veri, come di rado capita o dovrebbe
capitare.
Splendido romanzo, denso e non certo scorrevole
come si usa nel senso del termine, ma non cervellotico, nemmeno atavico o
pensante o pesante. Bello, ma chi ha vissuto o vivrà situazioni analoghe o
paradossalmente completamente diverse, perché il bello della Letteratura vera è
quella di raffigurare, più o meno con compostezza non è la nostra vita (ahi che
brutto, ancora uno specchio), ma mondi eventualmente paralleli ma abitabili,
che potrebbero essere di ognuno di noi anche se magari in un certo momento, ad
una certa lettura. Certi mondi non sono di nessuno, come le terre di mezzo di
un fu Tolkien, sì, quello
del Signore degli anelli.
Straconsigliato a chi gli va e anche a che non gli va ma ha il
coraggio di non voler leggere sempre la solita solfa autoreferenziale in cui si
rispecchia.
Qui ci si critica, ci si conquista, ci si perde ma poi, quando
succede quella cosa innegabile e indefinibile di nome amore, ci si ama. E lo si
fa con maturo ed inconsapevole contrasto, come nella migliore tradizione di
quello che dura e non si scioglie. Senza scegliere ma scegliendo, lei è la mia
donna, lui il mio uomo
"Quel che resta del giorno", come un bellissimo
film di Ivory che parla di amore in quel caso non
consumato, come questo sole di oggi, che mentre scrivo si fa attendere.
Ahi, l’amore, che brutta bestia, che suadente
angelo, “che roba” insomma, quello che volente o nolente ci si deve a che fare
a meno che non ci rassegna spingersi e piangere dicendo “è tutta colpa degli
altri”. E poi., sia detto per inciso, non si parla qui dell’amore quello
apparentemente terso e puro che si vive in epoche post adolescenziali anche di
ritorno, ma quello serio, per così dire, quello impegnato, quello che veramente
o la va o la spacca,
quello che insomma può decidere sul serio una vita, non una stagione, una
esuberanza ormonale, un. Quando poi il giorno dopo tutto ricominci come se
niente fosse. Qui ci si gioca un essere, un apparire, un volere, un potere. E
magari, anche se il sole tramonta, è bellissimo poterselo godere.
Conoscevo Amos
Oz, l’autore di questo
romanzo, per pura casualità, un libro recapitato per sbaglio, “La scatola
nera”, che lessi per curiosità e gratitudine all’anonimo postatore che errò
indirizzo (anzi, per dirla fra noi, a chi andava e magari perché?). Rimasi
abbastanza affascinato dallo stile (pur parlandosi sempre di traduzione da
lingua straniera, ATTENZIONE) e dalla facilità con cui questo scrittore, uomo,
indagava sentimenti femminili e maschili con sapiente sagacia, a mio modesto
parere, non con la solita rozza, facile, archetipica superficialità. Non che
l’uomo bruto e nudo sia sostanzialmente non degno di mettersi in parola, ma pur
sempre appare limitato, come lo sono le donne. Ma quel romanzo mi lasciò un segno,
anche per come riusciva a calare il lettore in un realtà così lontana ma nello
stesso tempo mass-mediatica del Kibbutz, la casa colonica (nel senso di
colonialismo) israeliana, ubicata in territori arabi o ex arabi o insomma,
Ma torniamo al nostro, di romanzo. Una splendida, vigorosa, efficace
narrazione. Fatta di capitoli alterni, dove uno dei componenti la coppia prende
la parola, non sempre in maniera matematica, talvolta seguono impressioni
dell’uno o dell’altra, tutto per il rendere la vicenda romanzata e non
semplicemente telenovelica o egocentrica.
Theo è uomo dall’affermazione
ultra-individualista, famoso nel suo paese e anche altrove, buon architetto,
ammanicato, che poi però ha scelto lo sdegnoso silenzio e l’appartarsi e
l’appartamento, trombato come altri, non solo nel senso volgare e di uso comune
destinato a pantofolaio, semplicemente nessuno gli dà e lui non sopporta più
certi meccanismi di potere non per questo decidendo che la sua sia incompetenza
in materia. Cova le braci dei suoi sogni distrutti dai venti della politica e
della disillusione, si avvicina o supera quell’età che prima o poi, dio
volendo, ci tocca a tutti ed insomma, fa abbastanza autocritica ma non troppa,
in fondo, anche se a volte nel modo sbagliato, ama. E’ ancora affascinante,
potrebbe avere ancora la conquista nel senso più volgare inteso, è ancora noto,
potrebbe ma insomma si è stufato, si vede che ha una certa stanchezza e
soprattutto, gli piace la donna accanto, fattore fondamentale per. Detto fra
noi talvolta ha la fascinosa e decrepita capacità di rompere i coglioni.
Scusate la parola, ma insomma. Capita. Poi si riprende. E’ come l’amore, quello
vero, una sorta di tartaruga più friabile e meno gusciosa ma pur sempre
retrattile.
Noa invece, più giovane e ancora
bella ma ancora impegnata però, ancora forse, sarebbe perfetta come una dea se
lei se non fosse che qualche dubbio affiora
anche se le rughe non sono così
sempre impietose Dati i tanti volgari, concupiscenti ed inutili pretendenti
alle grazie, è una donna fatta, insicura delle sue sicurezze e sicura delle sue
insicurezze. Non una donna perfetta, quelle stanno nei film e nei blog delle
ragazzette adolescenti, bella ed emotivamente attiva, certamente non ancora una
di quelle preda di sintomi post adolescenziali o tardo senili, seppur docili e
comprensibili. Può fare tutto, Noa,
che, come nel corso del romanzo si dice, non dà noia, ma Theo a volte scuote la testa e non dorme
eppure la ama o la cerca. Noe a volte lo ama a volte vorrebbe non amarlo ma poi
alla fine. Magnifico, come raccontato, veri, come di rado capita o dovrebbe
capitare.
Splendido romanzo, denso e non certo scorrevole come si usa nel senso del termine, ma non cervellotico, nemmeno atavico o pensante o pesante. Bello, ma chi ha vissuto o vivrà situazioni analoghe o paradossalmente completamente diverse, perché il bello della Letteratura vera è quella di raffigurare, più o meno con compostezza non è la nostra vita (ahi che brutto, ancora uno specchio), ma mondi eventualmente paralleli ma abitabili, che potrebbero essere di ognuno di noi anche se magari in un certo momento, ad una certa lettura. Certi mondi non sono di nessuno, come le terre di mezzo di un fu Tolkien, sì, quello del Signore degli anelli.
Splendido romanzo, denso e non certo scorrevole come si usa nel senso del termine, ma non cervellotico, nemmeno atavico o pensante o pesante. Bello, ma chi ha vissuto o vivrà situazioni analoghe o paradossalmente completamente diverse, perché il bello della Letteratura vera è quella di raffigurare, più o meno con compostezza non è la nostra vita (ahi che brutto, ancora uno specchio), ma mondi eventualmente paralleli ma abitabili, che potrebbero essere di ognuno di noi anche se magari in un certo momento, ad una certa lettura. Certi mondi non sono di nessuno, come le terre di mezzo di un fu Tolkien, sì, quello del Signore degli anelli.
Straconsigliato a chi gli va e anche a che non gli va ma ha il
coraggio di non voler leggere sempre la solita solfa autoreferenziale in cui si
rispecchia.
Qui ci si critica, ci si conquista, ci si perde ma poi, quando
succede quella cosa innegabile e indefinibile di nome amore, ci si ama. E lo si
fa con maturo ed inconsapevole contrasto, come nella migliore tradizione di
quello che dura e non si scioglie. Senza scegliere ma scegliendo, lei è la mia
donna, lui il mio uomo
"Quel che resta del giorno", come un bellissimo
film di Ivory che parla di amore in quel caso non
consumato, come questo sole di oggi, che mentre scrivo si fa attendere.
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Pubblicata in origine sul sito www.ciao.it
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