I poeti si sa son terreno minato, compi un passo leggiadro sulle loro parole e magari esplodi, sono una vera galassia che nasconde buchi neri che ti succhiano via e ti centrifugano in altri universi. "Notte" dunque, intesa come buio riempito di piccole stelle e "cometa", inteso come quello che passa, rimani ammirato ma poi.
Sebastiano Vassalli è fine narratore, innamorato della verità storiche, quando non lavora di fantasia.
Obiettivamente Dino Campana potrebbe essere lontano anni luce.
Ma questi sono i miracoli che la poesia compie.
Mettere in contatto mondi e parole e significati.
Poesia e pazzia, perfetta armonia
Fenomenali, questi poeti, che sulle macerie dell'anima costruiscono nuovi mondi
fatti, pensate voi, di parole, a cui si dona nuovamente senso e significato.
"La notte di una cometa" è una coraggiosa (per quel che conta),
biografia romanzata di un "diverso", stavolta inteso non inteso in
senso sessuale o razzistico, ma semplicemente un fantasioso, un pellegrino per
i meandri del pensiero, un semplice fabbricante di parole che si trova il mondo
contro e alla fine cede. Peccato, davvero, che nei nostri tempi attuali il
termine "poeta" (come quello di "scrittore") sia diventata
parola abusata e stuprata, per cui chiunque spezzi le frasi in maniere
inconsueta e metta in riga presunte e consunte emozioni e parole più o meno
significative, abbia il diritto di dire faccio poesia.
E scritto e sia chiunque
riesca a fare frasi di senso compiuto. Si tratta di uno dei tanti crimini ( di
impatto inferiore ad altri ma di valenza pari e superiore) commessi da questo
secolo ventunesimo e va bene, che la poesia sia con voi. I poeti, dicevamo.
Demiurghi, anche se a volte pazzi, sicuramente. Il confine tra pazzia e poesia
è infatti labile e incerto e valanghe di "criticatutto" ne hanno
parlato e sparlato a iosa, nel corso dei secoli, beati loro, saprofiti
dell'anima e delle esuberanze altrui. Poeti, questi esseri strani, animali per
certi versi ed extraterrestri per molti altri. Dicono che vivano sulla Luna o
sulle remote lande di Marte, ma chissà. In realtà i poeti per ora sono anche
uomini e , si sa, è difficile fare l'essere umano. Molte le reminiscenze (
ergo, volevo dire ricordi ma poi faccio poesia) che mi vengono,. Fu
probabilmente il Romanticismo (inteso come movimento culturale ed epoca storia
e non come mero sentiero sentimentale anche questo disgregato da luoghi comuni
che fanno comodo ai famosi saprofiti) a varcare e delimitare oppure ingigantire
e tergiversare i confini fra pazzia e poesia, arte e stato di incoscienza. Poi
venne il Novecento che ci fece una bella ramanzina e mise le cose, per così
dire, a posto, nel senso che sovvertì qualunque assioma e trave portante e
dalla fine, all'alba del Duemila della poesia vedemmo macerie e ricordi, mai
sostanza oppure certezze, solo un infuso di passate storie e probabili
immaginazioni.
Questo per dire che il poeta non è per forza o solo quello che scolpì in
maniera monumentale il buon Baudelaire , il quale in momento di estasi creativa
seppe ben raffigurare questi uomini che non sono uomini eppure eppur sempre
umani che il detto volgare addita come Poeti. Parlando del maestoso uccello
albatro, il Charles suddetto e definito maledetto dice " il poeta è come
quel principe delle nuvole/che snobba la tempesta e se la ride
dell'arciere;/poi, in esilio sulla terra, tra gli scherni,/ con le sue ali di
gigante non riesce a camminare". E sembra questa una veritiera e azzeccata
effige da apporre sulla vita di Dino Campana ( nato a Marradi, nel 1885, nei
pressi di Faenza) portato su pagina da Vassalli ( nato, ahime, nel 1915). Campana,
come figura narrativa, suo malgrado o forse è quel che desiderava, è
emblematico e foriero di nuovi spazi conoscitivi da conquistare. Non è
propriamente una mera biografia e nemmeno un romanzo biografico. Dice
onestamente Vassalli, nella introduzione o quarta di copertina che dir si
voglia " Se non fosse esistito io ugualmente avrei scritto questa storia e
avrei inventato quest'uomo meraviglioso e mostruoso". E' un lungo
documentato discorso quasi fatto tra amici, pieno denso di storia e aneddoti,
che travalica dal declamare agiografico e che ci regala più la figura dell'uomo
che del poeta, posto che le due cose non possono essere scisse ma nemmeno
sovrapposte. Ci avventuriamo con questo fascinoso e fascinante Dino, che nasce,
cresce e non vive nel più pieno e provinciale contadinesco paesino di nome e di
fatto. Rapporti difficili con la madre, pia donna dedita al fratello .
Adolescenza disturbata e perturbata e nell'ombra la pesante eredità di uno zio
pazzo che sarà la sua croce in senso lato e seno stretto. Poi viaggi, voglia di
scrivere, poesia, bugie e verità, avventurosi pellegrinaggi, burocrazia davvero
scostante oppure impotente ed infine, come nelle migliori storie, la fine, nel
1832, solo come sempre ma ormai acclarato come matto.
Sebastiano Vassalli, genovese di avanguardistica schiera narrativa, è
romanziere d'elite e non certo di nicchia avvezzo al riuso di materiali storici
per fini romanzeschi di alto livello ( "La chimera", storia
"vera" di una strega nel Seicento e "La notte del lupo",
ripensamento in chiave postmoderna della figura di Giuda) lascia chiaramente
intendere che se non si fosse imbattuto in Campana, avrebbe comunque creato un
personaggio così. E la chiarificazioni del rapporto di Campana con la poetessa
mitizzata Aleramo, dannunziana post litteram issata a bandiera dalle femministe
degli anni settanta ed entrambi vittime di un recente e modesto film di Placido,
qui nel libro additata come mera donna in preda a normali, ormonali e carnali
vogliosi istinti e poi lapidaria carnefice dei sentimenti del Dino uomo ed
artista ,merita una sottolineatura con rigo rosso poiché motivata con lettere e
non semplici ideali da sventolare quando non si ha nulla di meglio. Classico
esempio di simbiosi che nasce su carta e che porta via. Che "la chimera
sia" direi, e vi lascio con questi versi dei "Canti orfici" del
Campana, prose e poesie davvero di altra natura e specie, parole che sanno fare
male ma che nascondono un bene, quando il diverso fa solo divertire e finisce
per essere quello che è. Un uomo solo.
"Non so se tra roccie il tuo pallido/Viso m'apparve, o
sorriso/Di lontananze ignote/Fosti, la china eburnea/Fronte fulgente o
giovine/Suora de la Gioconda/O delle primavere Spente, per i tuoi mitici
pallori/O Regina o Regina adolescente:/Ma per il tuo ignoto poema/Di voluttà e
di dolore/Musica fanciulla esangue,/Segnato di linea di sangue/Nel cerchio
delle labbra sinuose,/Regina de la melodia:/Ma per il vergine capo/Reclino, io
poeta notturno/Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,/Io per il tuo
dolce mistero Io per il tuo divenir taciturno./ Non so se la fiamma pallida/ Fu
dei capelli il vivente Segno del suo pallore,/Non so se fu un dolce
vapore,/Dolce sul mio dolore, Sorriso di un volto notturno:/Guardo le bianche
rocce le mute fonti dei venti/E l'immobilità dei firmamenti/E i gonfii rivi che
vanno piangenti/E l'ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti/E ancora
per teneri cieli lontane chiare ombre correnti/E ancora ti chiamo ti chiamo
Chimera"
Ti chiamo anche io, o Chimera, basta che il cellulare non sia spento o
irraggiungibile.
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Pubblicata in origine su ww.ciao.it il 13.01.2008
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