Si dice spesso che gli italiani sanno scrivere gialli solo se li caratterizzano regionalmente. Chi lo dice? non mi ricordo, ma l'ho letto, giuro, da più parti. Oppure si sostiene che si rifanno a moduli e modelli di importazione, traducendo (male) stilemi e dettami di altre culture. Ma non sempre è così, anzi. Fruttero e Lucentini, inossidabile coppia di scrittura gialla a quattro mani, qui forse raggiunse l'apice per trama, personaggi, ambienti. Ancora estremamente godibile, anche se datato anni Settanta. E tenete conto che gli oscar Mondadori spesso, come oggi per esempio, sono in offerta.
Una Torino decaduta e decadente. Un atmosfera pallida, senza sussulti.
Un pesante ed irriverente fallo di pietra spacca il cranio dell'architetto Garrone, uno di quei faccendieri loschi anche nel respiro, uno che vive di espedienti ai margini della legalità trescando con quella che una volta era l'inappuntabile e inattaccabile parte buona della città, la borghesia torinese.
Il commissario Santamaria, disincantato, quasi scazzato se vogliamo, disilluso quanto basta per essere un tipico commissario di romanzo giallo, è incaricato delle indagini e subito si trova a contatto con due annoiati, superflui esponenti della classe sociale una volta rampante, ora semplicemente rampicante, come l'edera. Parassita, insomma e senza margini di scampo. Si tratta della annoiata moglie di un industriale, Anna Carla, ed il benestante rampollo Massimo Campi, che fa coinvolgere nella faccenda il suo amante, il sentimentale, velleitario Lello, impiegato comunale con aspirazioni da intellettuale ma in realtà strumento di gioco per quella società che frequenta per vero, puro ma ormai sfinito amore. Fa molto "gli indifferenti" di Moravia, ma qui non c'è la volontà di dare il quadro di un'epoca,a messo che il poco più che post-adolescente Moravia volesse questo.
I due borghesi sono subito sospettati da Santamaria, per via di una lettera fedifraga mai spedita di Anna Carla a Massimo dove si risolve di eliminare dalla loro vite il Garrone, col quale da tempo davano vita ad incontri frequenti per becerare su amici, parenti, conoscenti tanto per far passare il tempo e scaricare sugli assenti la propria vita sbadigliante ed amorfa. Paiono tutti tratti dagli "Indifferenti" di Moravia, questi personaggi, ma lo scenario stavolta è più ampio e meno claustrofobico, parecchie altre bizzarre figure entrano in gioco ed hanno tutte un ruolo fondamentale, come le polverose, arrugginite ed acide sorelle Tabusso, arroccate nello loro posizioni che denotano un razzismo strisciante verso tutto ciò che Torino è diventata. Intanto Lello, sempre più testardamente amante di un amore cieco, a due passi dalla verità, finirà per essere ammazzato pure lui al mercato delle pulci torinese.
Come tutti i gialli ben fatti, dopo colpi di scena, intrighi e qualche relazione sentimentale (Anna Carla col commissario) si arriverà alla verità. Anche se il lieto fine lascia l'amaro in bocca, dopo questa sfilata di persone abbastanza asfittiche e desertificate, cui nulla sconvolge o appassiona veramente. Successo letterario di quelli che fanno rumore, caso, per dirla con linguaggio alla moda, La donna della domenica quando uscì lanciò in orbita gli autori Fruttero e Lucentini, che non sempre poi riuscirono almeno dal punto di vista strettamente letterario ad approdare ad esiti così felici.
Un giallo perfetto che oltre a denotare le tipicità usuali di genere, affresca una città, un' epoca e crea dei personaggi che vanno al di là dei meri attanti di una struttura predefinita come quella del genere romanzesco in questione. Ne fu tratto un ottimo film di Luigi Comencini, che seppe mettere in scena con capacità e maestria il tono soffuso e grigio, vagamente decadente che permea il romanzo e vide sugli scudi il solito inarrivabile Mastroianni nella parte di Santamaria.
I due borghesi sono subito sospettati da Santamaria, per via di una lettera fedifraga mai spedita di Anna Carla a Massimo dove si risolve di eliminare dalla loro vite il Garrone, col quale da tempo davano vita ad incontri frequenti per becerare su amici, parenti, conoscenti tanto per far passare il tempo e scaricare sugli assenti la propria vita sbadigliante ed amorfa. Paiono tutti tratti dagli "Indifferenti" di Moravia, questi personaggi, ma lo scenario stavolta è più ampio e meno claustrofobico, parecchie altre bizzarre figure entrano in gioco ed hanno tutte un ruolo fondamentale, come le polverose, arrugginite ed acide sorelle Tabusso, arroccate nello loro posizioni che denotano un razzismo strisciante verso tutto ciò che Torino è diventata. Intanto Lello, sempre più testardamente amante di un amore cieco, a due passi dalla verità, finirà per essere ammazzato pure lui al mercato delle pulci torinese.
Come tutti i gialli ben fatti, dopo colpi di scena, intrighi e qualche relazione sentimentale (Anna Carla col commissario) si arriverà alla verità. Anche se il lieto fine lascia l'amaro in bocca, dopo questa sfilata di persone abbastanza asfittiche e desertificate, cui nulla sconvolge o appassiona veramente. Successo letterario di quelli che fanno rumore, caso, per dirla con linguaggio alla moda, La donna della domenica quando uscì lanciò in orbita gli autori Fruttero e Lucentini, che non sempre poi riuscirono almeno dal punto di vista strettamente letterario ad approdare ad esiti così felici.
Un giallo perfetto che oltre a denotare le tipicità usuali di genere, affresca una città, un' epoca e crea dei personaggi che vanno al di là dei meri attanti di una struttura predefinita come quella del genere romanzesco in questione. Ne fu tratto un ottimo film di Luigi Comencini, che seppe mettere in scena con capacità e maestria il tono soffuso e grigio, vagamente decadente che permea il romanzo e vide sugli scudi il solito inarrivabile Mastroianni nella parte di Santamaria.
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