12 gennaio 2016

Nordest (Marco Videtta, Massimo Carlotto)


Quel Veneto che non ti aspetti. Certo, miracolo italiano, economia che tira attira e magari in alcuni casi “stira” i lavoratori. Come no. Bella vita, un pizzico tra coca ed alcolici, commistioni politiche e vai, tutti in Romania, quando si mette male, lo Stato prova a fare capolino ed insomma con il solito funzionario di Polizia bloccato a priori, la presunta produttività e competitività si riduce al solito girone infernale dantesco fra maneggioni, lussuriosi, qualche sfigato e l’innocente di turno messo alla gogna e giustiziato, che tanto così va. La lezione che emerge dalla parabola del Francesco protagonista, nobile rampollo di famiglia avvocatesca che nelle mani trova solo morte, tradimenti e dolore è degna di fiction televisiva, cui uno degli autori, Marco Videtta, pare fatto al caso, almeno da quarta di copertina.





Non sono un particolare estimatore del genere giallo ma non per questo lo evito o disprezzo a priori. Se ben fatto, ne apprezzo le architetture, mi godo i tratteggiamenti, se volete manierati ma assolutamente compositi dei personaggi principali e secondari e come tutti, vengo incantato o cerco di incantarmi posseduto in senso metaforico dalla forza voluttuosa della trama. Provo certa irritazione alle reiterazioni del protagonista, in narrativa dico, ma non per questo dico che fare i sequel sia peccato, anzi, peccare con certa perseveranza e lungimiranza, in certi casi, è meritorio di.

Ma se poi il giallo non regge, la storia imbarca acqua ad ogni ristagno della marea ed il tutto appare come un avariata mistura di nauseabondi ortaggi coltivati e lasciati marcire dalla purtroppo iper-produttiva e pressante cronaca nera senza altro fine che la vendita al supermercato della presunta cultura o comunque comunicazione di massa, ebbene.
Di Carlotto avevo già parlato bene, il suo racconto del tour orrorifico in Buonos Aires, terra lontana ed a noi sconosciuta, era stato vivifico di educazione ed insegnamenti, per una delle tragedie relativamente recenti meno conclamate per ma per lo stesso motivo più efferate che si ricordi.Ma ora no. Nel senso che.
Nordest è un biondiccio giallo, di quelli tinti e ritinti dal parrucchiere editoriale, amorfo e senza nerbo, come se quasi come che. Che insomma fosse necessario cercare di mettere su una storia su i pubblicizzati o meno mali del cosiddetto Nordest ricco fosse una necessità personale più che una scelta concreta e letteraria. Perché il romanzetto in questione, di cui ho sentito parlare anche bene e che quindi ho letto con estrema fame da vorace ed onnivoro lettore benché spesso bradipesco nei tempi e nelle reazioni emotive, era ben predisposta e soprattutto accogliente.

I motivi di perplessità evidente sono ben presto detti. La trama fallace e che già preconizza il finale da ben prima che questo vi metta la parola fine così da voi avidamente cercata, narra della sfigata (sfortunata) odissea di un giovane avvocato in ben vista nel Veneto bianco ed immacolato, quello trevigiano e padovano, perché perde la moglie prima di sposarla. Con tanto di incedere mass- mediatico da parte di emittenti regionali evidentemente di carattere leghista ma con share da sballo, lo stesso rischierà di essere accusato benché accusatore, nel bel mezzo della distruzione fisica di chiunque lo circondi e di quella più lenta del mito economico sociale del nord est affranto dalla crisi dei costi del lavoro, fra avvenenti ex nobili, padri invadenti e colpevoli ante litteram, Romania come paradiso fiscale. Non ce la faccio a dire di più. Le scene e di dialoghi sono di una pochezz francamente desolante. Una accozzaglia di luoghi comuni decisamente irritante nel cercare un istant book nell’ormai tardo 2005, senza un briciolo di tensione narrativa o voglia di raccontare. Poiché di alcuni fatti similari a lungo la cronaca si è occupata, era meglio un’inchiesta giornalistica. Il voler dare uno spessore narrativo e peggio ancor più di genere ad una operazione che si mette nel mare della lettura ed ha le prime falle a cinque metri dalla riva, risulta un’operazione allo scrivente incomprensibile.

Ci sono molti modi per denunciare uno status quo. L’articolo, il libello, la pagina Internet, quello che volete. Ma insomma essere pubblicati nelle edizioni E/o con una storia che traballa, spacciati per romanzo drogato da fatti reali e da intenzioni cronachistiche, senza il minimo dubbio, mi perplime e credo, lascerà basito qualunque lettore appassionato di genere o comuqnue interessato e a conoscenza della situazione. Non che il tutto abbia in più uno stanco e lento senso di presunta giustizia, pieno di livore e stantio risentimento. Ma per favore. Il romanzo è un'altra cosa. Da bocciare senze mezzi termini. Accozzaglia per futura cucina massmediatica, infarcita da situazioni esistenziali senza il minimo sviluppo. Meglio un racconto, debitamente sfrondato e magari messo online su qualche sito gratuito. Ah, l'umiltà, che bella cosa. Solo un dubbio: perché è stato pubblicato. Salvo gli intenti, perché comunque la situazione era quella che era, allora ed ora. Sarebbe stato meglio spiegarla o raccontarla. Come sempre, arriveremo in ritardo, descrivendo narrativamente il passato.


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