Quel Veneto che non ti
aspetti. Certo, miracolo italiano, economia che tira attira e magari in alcuni
casi “stira” i lavoratori. Come no. Bella vita, un pizzico tra coca ed
alcolici, commistioni politiche e vai, tutti in Romania, quando si mette male,
lo Stato prova a fare capolino ed insomma con il solito funzionario di Polizia
bloccato a priori, la presunta produttività e competitività si riduce al solito
girone infernale dantesco fra maneggioni, lussuriosi, qualche sfigato e
l’innocente di turno messo alla gogna e giustiziato, che tanto così va. La
lezione che emerge dalla parabola del Francesco protagonista, nobile rampollo
di famiglia avvocatesca che nelle mani trova solo morte, tradimenti e dolore è
degna di fiction televisiva, cui uno degli autori, Marco Videtta, pare fatto al
caso, almeno da quarta di copertina.
Non sono un particolare
estimatore del genere giallo ma non per questo lo evito o disprezzo a priori.
Se ben fatto, ne apprezzo le architetture, mi godo i tratteggiamenti, se volete
manierati ma assolutamente compositi dei personaggi principali e secondari e
come tutti, vengo incantato o cerco di incantarmi posseduto in senso metaforico
dalla forza voluttuosa della trama. Provo certa irritazione alle reiterazioni
del protagonista, in narrativa dico, ma non per questo dico che fare i sequel
sia peccato, anzi, peccare con certa perseveranza e lungimiranza, in certi
casi, è meritorio di.
Ma se poi il giallo non regge, la storia imbarca acqua ad ogni ristagno della
marea ed il tutto appare come un avariata mistura di nauseabondi ortaggi
coltivati e lasciati marcire dalla purtroppo iper-produttiva e pressante
cronaca nera senza altro fine che la vendita al supermercato della presunta
cultura o comunque comunicazione di massa, ebbene.
Di Carlotto avevo già
parlato bene, il suo racconto del tour orrorifico in Buonos Aires, terra
lontana ed a noi sconosciuta, era stato vivifico di educazione ed insegnamenti,
per una delle tragedie relativamente recenti meno conclamate per ma per lo
stesso motivo più efferate che si ricordi.Ma ora no. Nel senso che.
Nordest è un biondiccio
giallo, di quelli tinti e ritinti dal parrucchiere editoriale, amorfo e senza
nerbo, come se quasi come che. Che insomma fosse necessario cercare di mettere
su una storia su i pubblicizzati o meno mali del cosiddetto Nordest ricco fosse
una necessità personale più che una scelta concreta e letteraria. Perché il
romanzetto in questione, di cui ho sentito parlare anche bene e che quindi ho
letto con estrema fame da vorace ed onnivoro lettore benché spesso bradipesco
nei tempi e nelle reazioni emotive, era ben predisposta e soprattutto
accogliente.
I motivi di perplessità
evidente sono ben presto detti. La trama fallace e che già preconizza il finale
da ben prima che questo vi metta la parola fine così da voi avidamente cercata,
narra della sfigata (sfortunata) odissea di un giovane avvocato in ben vista
nel Veneto bianco ed immacolato, quello trevigiano e padovano, perché perde la
moglie prima di sposarla. Con tanto di incedere mass- mediatico da parte di
emittenti regionali evidentemente di carattere leghista ma con share da sballo,
lo stesso rischierà di essere accusato benché accusatore, nel bel mezzo della
distruzione fisica di chiunque lo circondi e di quella più lenta del mito
economico sociale del nord est affranto dalla crisi dei costi del lavoro, fra
avvenenti ex nobili, padri invadenti e colpevoli ante litteram, Romania come
paradiso fiscale. Non ce la faccio a dire di più. Le scene e di dialoghi sono
di una pochezz francamente desolante. Una accozzaglia di luoghi comuni
decisamente irritante nel cercare un istant book nell’ormai tardo 2005, senza
un briciolo di tensione narrativa o voglia di raccontare. Poiché di alcuni
fatti similari a lungo la cronaca si è occupata, era meglio un’inchiesta giornalistica.
Il voler dare uno spessore narrativo e peggio ancor più di genere ad una
operazione che si mette nel mare della lettura ed ha le prime falle a cinque
metri dalla riva, risulta un’operazione allo scrivente incomprensibile.
Ci sono molti modi per denunciare uno status quo. L’articolo, il libello, la
pagina Internet, quello che volete. Ma insomma essere pubblicati nelle edizioni
E/o con una storia che traballa, spacciati per romanzo drogato da fatti reali e
da intenzioni cronachistiche, senza il minimo dubbio, mi perplime e credo,
lascerà basito qualunque lettore appassionato di genere o comuqnue interessato
e a conoscenza della situazione. Non che il tutto abbia in più uno stanco e
lento senso di presunta giustizia, pieno di livore e stantio risentimento. Ma
per favore. Il romanzo è un'altra cosa. Da bocciare senze mezzi termini.
Accozzaglia per futura cucina massmediatica, infarcita da situazioni
esistenziali senza il minimo sviluppo. Meglio un racconto, debitamente
sfrondato e magari messo online su qualche sito gratuito. Ah, l'umiltà, che
bella cosa. Solo un dubbio: perché è stato pubblicato. Salvo gli intenti, perché
comunque la situazione era quella che era, allora ed ora. Sarebbe stato meglio
spiegarla o raccontarla. Come sempre, arriveremo in ritardo, descrivendo
narrativamente il passato.
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