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Forte di un successo
planetario, il cantautore Lee Sutton torna al suo paese d’origine, come sempre.
Si sposa l’ex broker Kid, uno che ha arraffato milioni di dollari per buttarli
via nell’impresa di dare vita alla morta fabbrica del paese, per dare una
centralità a Lake Wings che un tale paesucolo non saprà mai meritare. E l’allegra
brigata è composta anche dal granitico Henry, che continua più a mungere vacche che a
intascare soldi, l’adorata e bellissima moglie Beth, che ha nascosto per anni
una scopata clandestina proprio con il cantante e l’enigmatico Ronny, celebre
vincitore dei tori nei rodei in passato ed ora scorticato ed eroso dall’alcool
che ormai non deve bere più, o non dovrebbe.
Romanzo di formazione nel
senso più classico del termine ma rimescolato con ardori e sapori del
postmodernismo, vedi i diversi punti di vista su cui si struttura la narrazione.
Racconto che si concentra più che sui distacchi sui ritorni, il ritorno alle
radici, il ritorno dell’amore, il ritorno (o non) dell’amicizia. Molto cinematografico e
paesaggistico, è già oggetto di un futuro film, ma non datelo in mano a Innaritu, lo stucchevole e ridondante regista
del pessimo e recente Revenants, sarebbe
capace di farne un polpettone cosmico senza attributi. Qui vivono, godono e soffrono pensieri e sentimenti, nessuna masturbazione cerebrale.
Il vero personaggio
principale è il Wisconsin o meglio lo sperduto e sconsiderato Little Wing, dove
tutto cambia affinché nulla cambi e dove qualunque tempesta di neve o di vento
distruggerà le radici che ciascun nativo ha impiantato in questa terra solitari
e a suo modo poeticamente malinconica. Non ha le claustrofobie esistenziali di Roth e nemmeno le velleità mitteleuropee di Franzen, ma indica ancora una volta che la narrativa statunitense sta riscoprendo a suo modo la prosa classica europea, asfaltando dialoghi e riempendo di aggettivi ed elucubrazioni la narrazione sobria ed essenziale che tanta fortuna ha decretato nei decenni passati.
A suo modo riuscitissimo, senza
una smagliatura nonostante l’impianto rievochi rugosi antecedenti, rappresenta
quanto di più sano e terribile sia la nostra esistenza: siamo domande, mai
risposte e rispondiamo, capace che sbagliamo.
A quanto leggo su Onda
rock, poi, pare che sia direttamente tratto dalla biografia del cantante folk Bon Iver.
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