07 febbraio 2018

L'eleganza del riccio (Muriel Barbery)

Parigi. Rue de Grenelle, numero civico 7. L'elegante condominio, abitato da facoltosi alto borghesi parigini, rivela in realtà quasi una natura di zoo. Ci sono serpenti velenosi che sibilano silenziosamente sui difetti dei vicini, scimmie impomatate che solo da lontano ricordano l'affabilità di una donna o la perspicacia di un uomo, tigri sdentate, tartarughe timide e via dicendo. Strani questi uomini, assomigliano davvero agli animali nei loro bislacchi comportamenti, nelle loro ostentate e ridicole velleità, nelle loro turbolente invidie, nel loro sguaiato desiderare, emancipare, decidere, amare.
Il problema è che sono intelligenti. Nel senso che le loro disastrose azioni talvolta le pensano persino e quindi i danni o i dissidi procurati sono elevati alla milionesima (im)potenza.




Renée, la portinaia vedova, è un semplice riccio. Appartata, quasi isolata, vittima e carnefice allo stesso tempo, nasconde una dolce, incallito segreto difendendolo da tutto e tutti con perseveranza quasi diabolica. E' colta, coltissima, legge anzi divora di tutto, mastodontici testi di filosofia che metterebbero a dura prova anche un cosiddetto intellettuale, si appassiona a quadri che neanche un critico d'arte saprebbe apprezzare e così via dicendo. Ma non vuol farlo vedere, non lo deve dire, ha costruito la sua vita su questo piccolo mattoncino che non è altro che un bizzarro segreto. Ma anche quel piccolo animale a cui assomiglia ha comunque una certa sua grazia nel portamento, nonostante quella tenuta di aculei difensivi, così come esiste la dolcezza nel rinoceronte e la tenerezza nel leone.
Così come l'alterego romanzesco della nostra Renée la agiata, terribile e nichilista bimba dal nome Paloma, dodicenne che mostra 115 anni, potrebbe rivelare la crudeltà insita nello spirito leggiadro e festoso della farfalla, visto la sua insofferente mania suicida per il disgusto che le lascia in bocca il mondo dei grandi nel quale si è trovata suo malgrado a vivere. La sua lucida cinica diversità è abilmente nascosta e dissimulata. Ma i propositi e le notazioni graffiano come uncini.
Al di là di questo breve trattato di zoologia fantastica che potrebbe proseguire per intere pagine, questo secondo romanzo di Muriel Barbery, francese, docente di filosofia, nata nel 1969, è un romanzo atipico e discontinuo che però ha indiscutibilmente un suo fascino. Giocato sul doppio binario delle avventure e soprattutto delle considerazioni ora poetiche ora impietose delle due protagoniste, nonostante abbia al suo interno delle pesantissime pagine volte a spiegare filosofi su cui toccherebbe scrivere un trattato di mille pagine come Husserl, il noto esponente della corrente fenomenologica e Marx, il padre del comunismo teorico e non quello poi messo in pratica in diverse nazioni, è un testo che cattura assolutamente l'attenzione per la sua penetrante originalità.
Capita di rado, oggi, trovare che un bestseller di questo calibro che ha straveduto in Francia e che ha ottenuto un largo e quasi inspiegabile successo anche qui in Italia, abbia evidente spessore e non sia la solita insipida e risciacquata storia d'amore oppure sia stritolato dal ritrito intreccio del giallo.

Certo, a parte i trattati filosofici che come detto rotolano come massi sulle pagine ora agili ora trasognate del duo al femminile, anche la rappresentazione del mondo elitario, benpensante e stolto anche nei suoi tratti inevitabilmente radical chic, di questa borghesia di alto-bordo è tutt'altro che originale. Ma in questi casi la differenza la fa il particolare, la ricerca linguistica, la frase secca o barocca che abbellisce un quadro sociale tutto sommato stantio. E di piccole perle il libro ne regala tante, strappando, nella sua voluminosa e disincantata, nichilistica andatura, addirittura qualche commosso sorriso.
La Barbery ricorda , in alcuni brevi tratti, una sua quasi contemporanea, la aggressiva, metaletteraria, cinica ed inarrivabile Nothomb, scrittrice belga di nicchia che ho già avuto modo di presentare e che indubbiamente ha un suo perché. Così come ho trovato anche passi di sapore proustiano, volti a svelare l'ingannevole apparenze delle cose con disvelamenti tipicamente femminili che nei toni e negli accenti ricordano le intermittenze del cuore del famoso Marcel.
Ma trovare così tanti agganci e richiami, suggestioni e ricordi denota sicuramente che trattasi di opera di spessore che come ripeto ha incontrato una vasto successo, a dimostrazione che nonostante la imperialistica industrializzazione del prodotto culturale, non sempre e non per forza debba sfornare la solita sciapa minestra per intelligenze liofilizzate sulla base di sentimenti omogeneizzati.
Fitte ed intelligenti, le due diversissime protagoniste si ritroveranno in nome dell'apparizione del loro catartico salvatore, un ricchissimo e coltissimo giapponese, che fa della semplicità e della pacatezza la sua forza, tanto da svellere i chiodi che trafiggono le due anime travagliate, mirabilmente ritratte direi come solo una donna può scrivere di donne.
Si poi che di solito i francesi sono pesanti ed irriverenti, volti di solito in narrativa come nel cinema, a rallentare il corso del tempo e ad educare l'intero mondo con la loro grazia di elefante in dismissione, tranne qualche eccezione che conferma la regola, come il primo Daniel Pennac ad esempio, che a tutti consiglio.
Storia affatto zuccherosa, ripiena di amaro anzi, ma mai mielosamente drammatica oppure istericamente tragica Con qualche cambiamento di ritmo forse esagerato e brusco e una qualche scompostezza che arreca danno al complesso della struttura. Ma da leggere, sicuro.

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