Quante domande ci e si pone De Lillo in questo romanzo
poderoso? Abbastanza. Alcune anche con risposta motivata, il che non guasta e
rende l’opera oltre che imponente anche importante. In una folle vertiginosa
corsa. Perché il tutto è strutturato su ripetuti salti temporali in avanti o
all’indietro, con continui cambi di prospettiva, segnati senza sosta dal passaggio
della narrazione dalla prima alla terza persona, dal discorso indiretto al
monologo interiore. Scorrono così cinquanta anni di Stati Uniti raccontati da
un autore che lo vogliano ammettere o meno, ha segnato tutti i narratori
contemporanei made in Usa, un po’ come fece Twain ad inizio Novecento. E
pensare che la struttura portante del libro è una pallina da baseball. Magica a suo modo.
Ovvero quella che fu protagonista di un fuoricampo con cui il 3 ottobre 1951 Bobby Thomson dei New York Giants consegnò
la sua squadra alla storia battendo i Brooklyn Dodgers di Ralph Branca. E che passerà
di mano in mano, in maniera avventurosa, fino ai giorni nostri, protagonista a
suo modo in decine di altre esistenze.
Il panorama che viene mostrato non è
gratificante, anzi.
Perché molto realistico, nel racconto variegato
e multiforme, apparentemente sfuggente invece accerchiante.
Troppa fretta. Troppo istinto. E la necessità di
sopravvivere o vivere alla grande. Quindi soldi. Quindi meccanismi del
capitalismo.
E relazioni umane sempre più complicate,
rapporti nati deteriorati o che si modificano, imbastardendosi, coll’andare del tempo.
In De Lillo c’è narrazione meno dialettica o metanarrativa dei suoi
osannati epigoni Wallace ed Eggers, non c’è la stessa andatura classicheggiante
e con quello che pare ampio respiro tipico nella narrativa di Roth e Franzen,
due fra i più noti romanzieri statunitensi nettamente europeizzati, come
stile struttura intendo.
Rimane il fatto che l’autore di Underworld ,
perlomeno con le letture da me fatte, appare come lo snodo cruciale della
narrativa statunitense contemporanea, sostanzialmente riconducibile a tre filoni, quello nettamente postmoderno, quello
che si misura con la tradizione europea e in netta antitesi quello infine
classico di quelle terre, di cui uno dei capostipiti è certamente Maccarthy o a
livello più pop Lansdale.
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