20 febbraio 2018

Memoriale (Paolo Volponi)

In tempi iperproduttivi come i nostri, il concetto di lavoro è essenziale. L'attività occupa gran parte dei nostri secondi, minuti, ore a disposizione. Ed è, perlomeno nella nostra italietta allo sfascio, anche di drammatica attualità il concetto di sicurezza lavorativa, di condizioni "umane" sul lavoro. Premessa asettica per la lettura dell'esordio narrativo di Paolo Volponi (1924 -1994), poeta e narratore, scrittore impegnato, senatore a partire dal 1983, eletto nelle liste del Pci e poi approdato a Rifondazione, che fu anche dirigente della Olivetti, in cui entrò nel 1956, mentre a partire dagli anni Settanta collaborò con la Fiat, entrando presto in contrasto con la dirigenza per le sue prese di posizione politiche .
In tempi iperproduttivi come i nostri, il concetto di lavoro è essenziale. L'attività occupa gran parte dei nostri secondi, minuti, ore a disposizione. Ed è, perlomeno nella nostra italietta allo sfascio, anche di drammatica attualità il concetto di sicurezza lavorativa, di condizioni "umane" sul lavoro. Premessa asettica per la lettura dell'esordio narrativo di Paolo Volponi (1924 -1994), poeta e narratore, scrittore impegnato, senatore a partire dal 1983, eletto nelle liste del Pci e poi approdato a Rifondazione, che fu anche dirigente della Olivetti, in cui entrò nel 1956, mentre a partire dagli anni Settanta collaborò con la Fiat, entrando presto in contrasto con la dirigenza per le sue prese di posizione politiche ."Memoriale", uscito nel lontano 1962, è una storia ancora attuale che vede come unico ed indiscusso protagonista ed io narrante Albino Saluggia, uomo kafkiano e complesso che potrebbe essere anche uno di noi, in questi tempi moderni che corrono e scivolano via, benché la sua comparsa nel mondo letterario risale a 60 anni fa. Una storia che discetta sul fatto che Esistere è un diritto, non certo un insopportabile e lugubre dovere.



Nato in Francia, torna con i genitori in Piemonte, il protagonista va in guerra e viene internato nei campi di concentramento nazisti.
Malaticcio e profondamente segnato seppur non definitivamente ucciso nella sua dignità ed aspirazione a vivere, attraverso gli appositi e freddi uffici burocratici preposti, trova impiego nella gigantesca e labirintica fabbrica di X , luogo e di fantasia come tiene a precisare l'autore in premessa, ma collocato in una regione invece perfettamente descritta e decisamente pregnante per l'ordito della trama, il Piemonte appunto.Il racconto è un accurato viaggio al termine della notte, una cronistoria dettagliata della malattia di Saluggia, bollato dunque come diverso, non abile. Trattasi di una esemplare analisi chirurgica di una solitudine congenita e senza scampo, una scomposizione dalle tinte drammatiche di un conflitto con il mondo. Saluggia è un contro, né sopra né sotto, ma altrove, in un mondo suo, che è alimentato alternativamente da schizofrenia e paranoia, lucidità e oblio di sé e degli altri. Nessuno dei personaggi che si alterneranno nel romanzo riuscirà a stabilire un legame serio e duraturo con Saluggia, nulla riuscirà a scalfire quest'animo ammorbato ed impermeabile ai legami poiché incapace del tutto ad instaurarli. E scivoleranno via Giuliana, l'addetta mensa dai più o meno facili costumi, il caporeparto Grosset in preda alla moglie che lo tradisce e ad un cancro senza pietà, il compagno Pinna, consumista e scialacquone, delatore e "maneggione". E poi i nemici dichiarati: ottusi impiegati, un sordido ingegnere, i medici della Fabbrica Tortora e Bompresso, identificati da Saluggia come meri aguzzini. E la madre di Saluggia, che si definisce per assenza e per rapidi tratteggi conclusi spesso nel pianto, lacrime più che di liberazione, di vera e propria autocommiserazione, a sancire un puro bigotto egoismo e un affetto drammaticamente esteriore, di facciata. Infine il comunista-operaio-sindacalista Gualatrone, che sarà l'artefice del memorabile incontro-scontro fra Saluggia ed il sindacato. "Il sindacato non è comunista, è di categoria. Cosa possiamo fare per uno solo? " risponde infatti il funzionario alle richieste insistenti di aiuto. Sintesi memorabile di un militante come Volponi delle contraddizioni insite negli organismi a tutela dei lavoratori. Esempio di come l'acume intellettuale non venga contaminato dalle proprie posizioni politiche.
Pochi ma densi elementi, dunque, resi invincibili ed immutabili dall' incomunicabilità del protagonista, con sullo sfondo un dualismo costante, mai sopito ma mai straripante, tra l'asettica Fabbrica e la campagna, con "bucolicheggiamenti" di sapore prettamente elegiaco sentimentale del protagonista, dall' effetto prepotentemente straniante rispetto al contesto della storia, aneliti fragili atti a connotare ancor di più lo stato insalubre della emotività e del pensiero di Saluggia, fin dall'inizio del romanzo.
Saranno questi vaghi vaneggiamenti a trascinare Saluggia alla ricerca di una quiete e di una salute con rimedi scientifici fino a cadere in completa e bambinesca balia di inutili e fuorvianti rimedi pseudo magici, posti in essere da meri e semplici imbroglioni, di cui sarà inevitabile vittima.

Lo stile non è sobrio, ma decisamente elaborato, con un linguaggio mai sciolto ma nemmeno aggrovigliato su se stesso. Si notano però cadute di tono in lirismi eccessivi che forse risentono troppo delle tentazioni poeticheggianti del primo Volponi, nato come poeta d'avanguardia e poi successivamente diventato oltre che dirigente d'industria, anche narratore. Saluggia in realtà simboleggia un destino tangibile di un essere umano e rappresenta una drammatica inconciliabilità con il mondo esterno e con la vita. A ben vedere peraltro viene "salvato", "coccolato" dall'apparato, e in maniera inetta ma tenacemente parassita si nutre di alcune incongruenze dello stato sociale stesso, beandosi su propositi vaghi e sterili, rinchiudendosi nelle proprie allucinazioni e debolezze senza dare nemmeno l'idea di poter virilmente reagire ad una sua stanchezza interiore dettata soprattutto dalla sua personalità debole più che da una società indifferente e meccanizzata. La sua solerte e moralistica innocenza il suo categorico rifiuto della donna infatti appaiono non certo una imposizione ma più che altro una sua scelta certo dettata da un male di vivere che nessuna fabbrica nemmeno socialista potrà mai alleviare.  Velleitario ed anacronistico il finale, immotivato e stranamente affrettato, quasi a voler comprimere il libero svolgersi della storia in una tesi senza che abbia mai avuto spazio un antitesi.
Rimane certo che esistere è un diritto, non certo un insopportabile e lugubre dovere.



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