13 aprile 2019

Manhattan beach (Jennifer Egan)

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Pensiamo sempre che la guerra si combatte al fronte. Fucili, cannoni e carri armati per
terra, e navi e sommergibili per mare. E nel cielo gli aerei. Spari ,scoppi e bombe. Morti, urla, imprecazioni. Però non è solo così. Provatelo per esempio a chiedere ad Anna ed altre donne di Manhattan, stato di New York ,Stati Uniti di America. Uniti manco tanto, solo per convenienza, ma è un altro discorso. Nel 1942 si sta preparando la controffensiva per vendicare l’affronto di Pearl Harbour e vincere e poi dominare il mondo. Tutti lo sanno. Il paese vincerà Ma occorre dare un contributo.

Si dice che le donne sanno fare tutto, più degli uomini comunque. Tradizioni popolari e va bene. Certo che una bella ragazza nel pieno di una guerra che decide di fare il palombaro per costruire navi da guerra o riparare quelle danneggiate fa comunque scalpore. Ora come allora. Una New York già da allora tentacolare e padronale, dove gli affaristi si ingrassano e sindacati assai in odore di mafia gestiscono il lavoro al porto e decine di altre cose legali ed illegali, mentre lo Stato chiude un occhio e cerca alleanze, tutto impegnato a reclutare braccia per la fanteria oppure per costruire armi e mezzi e 
pianificare la futura invasione del m9ndo occidentale in nome della libertà dal nazi fascismo, dai giapponesi e dai russi. Piccola ma determinata Anna vive la sua vita e fa la sue scelte, anche se non convenzionali, come cercare il padre scomparso, concupire qualche uomo ma in particolare l’affascinante e potente Dexter (sì, forse magai nomen omen, del famoso protagonista della serie tv), e vive. Bellissima e a volte fragile, con le sue emotività mobili e fugaci, i suoi sentimentalismi, la madre rompiballe o forse no, e la sua caparbia determinazione. Lavora infatti ai cantieri navali, avendone avuto la possibilità. E ha deciso. Non è un’operaia, ci mancherebbe. Lei vuol fare il palombaro. Maschi permettendo. O meglio, sconfiggendo l’archetipica diffidenza e stolta superbia maschile. E perché mai una piacente e giovane ragazza vuole indossare lo scafandro e fare il proprio lavoro sfidando la orrida e sordida arroganza di quel mondo puerilmente maschio? Guardate il mare, ascoltate la vita di Anna e forse ci sarà una spiegazione.
Romanzo completo, di quelli che affrontano tanti temi, a scapito magari della trama, ma non si sfilacciano, anzi sono solidi. Si va dal rapporto genitori – figli alla guerra , si racconta sulle connivenze stato mafia e soprattutto sulla emancipazione femminile, tra abbandoni, mari, reticenti alla leva e giovani ed intelligenti pre-yuppie o proto-femministe. Con un pizzico di western modalità gangster che in quegli anni imperversava. Bel romanzo vitale, interessante storicamente, ma non vivido e livido come Il tempo è un bastardo, della medesima autrice che a suo tempo mi fece innamorare di temi e a stile. Spiazzante, in questo senso. In narrativa mai fidarsi delle aspettative, bisogna cercare ed incontrare una storia che ci piace come è raccontata, non aspettarla a vita, memento mori.

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