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Udite
udite è morto il grande poeta russo Majakovskij. Si, è morto. Certo, come no,proprio lui, il cantore della
rivoluzione proletaria. Un suicidio. Per amore, per che altro senno.
Non date retta alle ilazioni che sussurrano con una certa paura che
ha influito qualche solenne bocciatura del partito comunista alle sue
ultime produzioni. Chi non ci crede poi a questa versione? Niente di
meno che il regista Ėjzenštejn e lo scrittore Boris Pasternak.
Una celebrità acclarata ed una che lo sarà postuma. Un giallo di
elevate e note qualità artistiche ordunque. Dove sta la verità?
Racconto
lungo o romanzo breve, la differenza è poca e in questo caso
capziosa. Un giallo di classe, con una convincente abilità mimetica
capace a trasportarci nella Russia neo staliniana, piena di
diffidenza, controllo e incanalamento della rivoluzione entro i
rigidi canoni che noi già conosciamo.
Oltre
a ben architettare un intreccio semplice ma ben congegnato
e sviluppato, la
Musneci
ci regala diversi dialoghi, a volte persino
spassosi,
e pagine di parole
levigate e curate senza per forza essere leziosi o aulici. La morale
della fabula è abbastanza apodittica: mai cercarsi guai, specie
quando siamo un un periodo dove la polizia fa il bello ed il cattivo
tempo e chi comanda non ha nessuna intenzione di fermarsi o allentare
la presa. Un
forse, ma ben orchestrato. In Russia niente sarà come prima. Forse. Visto che Stalin ha saldamente le redini del comando in mano ed è un vecchio volpone. La conferma di una scrittrice, che nel suo genere vanta pubblicazioni
nella collana gialli Mondadori ma che denota qualità e gusto, il
che non guasta. E in un giallo di sapore artistico, dovesi parla di poeta, l’allitterazione
e la quasi rima in una recensione ci stanno tutte.
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