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Uscito per la prima volta nel 1949, in questo romanzo troviamo un Heinrich Böll, premio Nobel per la letteratura, ancora decisamente immaturo, lontano anni luce dalla intensa crudeltà tenera e viscerale, condita con acido sarcasmo, che permea romanzi come Opinioni di un clown oppure Foto di gruppo con signora. Qui lo scrittore tedesco appare ancora legato a schematismi primo-novecenteschi, ad un tono elegiaco sentimentale che fortunatamente lascia decantare negli anni per arrivare a quella sua maestria nel ritrarre drammi esistenziali con sullo sfondo ben più ampi scenari riuscendo a miscelare sentimento, rimorso, rancore, vendetta e riscatto. Andreas come simbolo e vittima di un sistema folle e violento, costretto a perire senza appello in nome di una guerra che ormai è perduta ed allora conta uno sciocco e stupido onore di resistere fino allo stremo, per portare a compimento la distorta ideologia hitleriana e morire tutti. Quel che sorprende è la dimensione personale, intimistica del racconto ambientato in questo scenario da girone infernale dantesco, senza indulgenze di sorta. La maestria dello scrittore tedesco rimane questa innata capacità di congiungere individuale e collettivo, conscio della immane tragedia vissuta dal suo popolo, senza mai assolverlo o condannarlo in toto, ma semplicemente descrivendolo, senza mai ignorare di lanciare strali su chi ha guidato verso sentieri così impervi ( e successivamente, a suo parere, ipocriti) il destino morale di una nazione.
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