Dopo l’invasione mielosa ed appicicaticcia dei
pre-adolescenti sfornati da Moccia, tutti amore e fantasticheria, senza un
briciolo di sostanza, prima o poi doveva succedere "Acciaio". Che
quell’ambientazione gelatinosa e zuccherata si adulterasse e diventasse
anagraficamente più adulta, fosse spostata in ambienti marginali e pseudo degradati e
cominciasse a provare senza sosta pruriti sessuali e rivendicazioni
esistenziali al sapor di cocaina. Come se il Cuore di De Amicis lo
mischiassero a Trainspotting. Diventa un aborto di romanzo. Certo ne
avevamo proprio bisogno, come no. Se ne sentiva la mancanza. Noi
lettori, di quaranta anni, non vedevamo l’ora. Di un frizzante lassativo
che ci facesse finalmente scaricare in bagno gli ultimi rimorsi per la
nostra giovinezza ormai andata e per le letture generazionali che non ci
avevano mai soddisfatto. Ci hanno risolto un dubbio: noi non eravamo e
non saremo stati mai così e dubito che gli adolescenti di adesso lo
siano, almeno completamente. E’ una lettura a suo modo gratificante:
capisci che c’è sempre qualcosa di
peggio di quello che scrivi o in cui credi. perché Acciaio non può
essere il vero ed il nostro. Altrimenti amen, siamo fregati.