Già il rock. Quella roba lì che da decenni ha rivoluzionato il modo di fare ed intendere musica, stregando milioni di giovani e che poi come tutti i fenomeni di massa ha mantenuto esteriormente i suoi crismi ed i suoi canoni, ma ormai è uno dei tanti epifenomeni di quel mostro onnivoro ed onnisciente che dilaga ovunque, il consumismo. Cantava il rocker canadese Neil Young ( e canta ancora, beato lui) che il vero rock non potrà morire. Magari. O meglio, la musica resta i musicisti no. Cobain Kurt, appellato in adolescenza dai villani suoi compaesani checca-Kurt per la sua ostentata ostile indifferenza a tutti loro, è inizio degli anni ottanta un ragazzo difficile come si dice per appiccicare un'etichetta a che subisce, magari per ipersensibilità emotiva, la separazione fra i genitori e l'abitare in uno sconosciuto borgo di nome Aberdeen, dove l'America dei telefilm patinati tutto tette e muscoli è sostituita da quella vera, grande solitaria, sperduta, quasi selvaggia e dove tutto resta lontano, quasi irraggiungibile, come avverare il sogno di diventare una rockstar. Ce la farà. Si. American dream? No, disperazione.