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21 maggio 2015

Il castello (Franz Kafka)


Un castello. Maestoso ed imponente, dimora inaccessibile, dai mattoni plasmati su indifferenza e inaccessibilità, dal cemento fatto di silenzio e segreti, dalle porte sempre chiuse e con le finestre invece sempre aperte, per spiare e dominare le pianure del circondario, gli inermi ed assoggettati villaggi popolati da gigantesche paure e diffidenze incarnatesi in persone. 
Villaggi di genti semplici ma oltremodo complicate, ghiacciate dai loro contorti passati burrascosi e dagli obliqui e mai retti rapporti con i funzionari e signori del Castello, dediti questi ultimi alla loro misteriosa attività di controllo burocratico che neanche l'Italia, nella sua allucinata ragnatela di competenze fra organi di diversa fattura e gerarchia è riuscita a riprodurre nel suo attuale assetto istituzionale. 
K., il protagonista, è un agrimensore che invece di delimitare terreni, pretende testardamente di misurare i comportamenti umani, incastrandoli in aride figure geometriche da cui esce puntualmente schiacciato, poiché come noto solo l'animo umano riesce a rendere quadrato un cerchio o viceversa, per le sue innate e criptiche contorsioni e diversificazioni.