Un castello.
Maestoso ed imponente, dimora inaccessibile, dai mattoni plasmati su
indifferenza e inaccessibilità, dal cemento fatto di silenzio e segreti, dalle
porte sempre chiuse e con le finestre invece sempre aperte, per spiare e
dominare le pianure del circondario, gli inermi ed assoggettati villaggi
popolati da gigantesche paure e diffidenze incarnatesi in persone.
Villaggi di genti semplici ma oltremodo complicate, ghiacciate dai loro
contorti passati burrascosi e dagli obliqui e mai retti rapporti con i
funzionari e signori del Castello, dediti questi ultimi alla loro misteriosa
attività di controllo burocratico che neanche l'Italia, nella sua allucinata
ragnatela di competenze fra organi di diversa fattura e gerarchia è riuscita a
riprodurre nel suo attuale assetto istituzionale.
K., il protagonista, è un agrimensore che invece di delimitare terreni,
pretende testardamente di misurare i comportamenti umani, incastrandoli in
aride figure geometriche da cui esce puntualmente schiacciato, poiché come noto
solo l'animo umano riesce a rendere quadrato un cerchio o viceversa, per le sue
innate e criptiche contorsioni e diversificazioni.