Questi piccoli e
"grandi" amori. Già.
C’era una
volta. C’erano, anzi, una volta, lui e lei. Ma da quella volta poi.
Più che un duo divennero un lento inesorabile e reciproco assolo. Reciproco
peraltro, ma senza un accordo, musicalmente parlando, una dissonanza.
E lui si chiama Dick Dever, ex apprezzato e promettentissimo psicologo che ora
grazie allo smisurato denaro della facoltosa moglie Nicole, ozia e giogioneggia
in dimore estatiche e riservate sulla Costa Azzurra francese.
Nicole, oltre i soldi ed un seducente aspetto, aveva una grave malattia cagionata
da un episodio efferato e turpe nella sua adolescenza, ma poi curata proprio da
Dick seppe far rientrare gli incubi in un terreno controllato ed accettabile e
la cura instillò l’amore o il sentimento fu la cura, tanto che comunque i due,
sposati e sereni ( o quasi), ora sono una coppia inviata ed invidiabile,
magnetici e catartici.
Lei bella ma non altera, ricca ma non tronfia, lui indistruttibile
accentratore, mai catatonico, capace di attrarre e concupire con il solo gesto,
con una sola parola mormorata, quando e può deve essere detta e l’ascoltatore
non vedeva l’ora di. Storia di una implosione.
Capita subito
così alla bella adolescente Rosemary, che già famosa nel cinema e poco avvezza
ai flirt occasionali rimane atterrita, irretita ed inondata dalla fluorescente
capacità magmatica ed infuocante del Dick vulcanico. Non è detto che Dick
voglia conquistare fino a quel punto, magari gli succede solo di (e vuole)
essere al centro dell'attenzione e poi basta cos', ma vallo a spiegare alla
giovine ed ormonale ragazza. Non son sempre rose e fiori, anche perché tra i
petali certo capitano le spine, ogni botanico di sentimenti lo sa, ma non è la
storia di un tradimento e nemmeno di una infatuazione .
Diviso in tre parti e con punti di vista sul racconto cangianti, “Tenera è la
notte” è un delicato, enigmatico ed emblematico racconto sulla dissolvenza di
una passione. Infatti credo che la mia ottica di lettura, pur condividendo
spunti, non si incentri sulla mera equazione economico sociale di stampo
marxista, incentrata sul presunto assunto che questo romanzo sia solo la
sterile denuncia della corruzione (eventuale) che il denaro apporta alle
persone ed alle loro relazioni, peraltro già fatta e rifatta in seguito in
maniera più corposa e convincente che qui.
In questo senso, pur nel rispetto dovuto alla sua recente scomparsa, dissento
in parte dalla introduzione alla mia edizione della Pivano che dice nella
chiosa “questo tema della corruzione della ricchezza torna in tutti i suoi
libri” D’accordo, ma non è il solo elemento o comunque la tematica
predominante. Almeno che non si legga un autore in ottica strumentale e le sue
parole diventino meri mezzi per denunciare altro ed altrove.
Così facendo obnubiliamo, dimentichiamo del tutto il decadentismo post litteram
di Fitzgerald, che credo facesse della sua condizione esistenziale una metafora
di un generale decadimento delle bellezze e delle speranze, annebbiamo anzi
oscuriamo la descrizione figurativa messa in opera, curatissima e meticolosa e
mai didascalica, quasi maniacale, slanci ariosi fino a sconfinare dalla
narrativa nel campo più arduo della poesia. E poi, se sulla trama ci
appesantiamo come pachidermi tradizionalisti, a concentrarci sulla denuncia
sociologica, probabilmente commettiamo il delitto di uccidere la prosa secca e spedita,
la sottile indagine di atteggiamenti ed emotività, un meccanismo descrittivo
sempre in movimento, mai fermo o raffermo, l’enorme mole di “dire-fare-pensare”
nel mentre, mai nel prima o nel dopo.
Già.
È che purtroppo Nicole e Dick , osservati da vicino e lontano dalla variegata
ed in certi passaggi avariata combriccola scombussolata e dissoluta che li
circonda, smetteranno di cercarsi, ammesso che prima si fossero cercati. O non
si troveranno più, ammesso che in precedenza si siano trovati. Ed i motivi sono
molti o forse nessuno, tutti o forse solo uno, la malattia sottotraccia di
Nicole, la sua volontà di liberarsi della stessa e da chi vorrebbe curarla
metodicamente, le ansie e frustrazioni di Dick che forse per debolezza,
opportunità o quant’altro ha ceduto al sollazzo dimenticando chi era e chi
poteva essere professionalmente parlando, in nome di cosa e di quando, pare
voglia domandarsi e senza risposta rispondersi.
Sarà stata colpa di Dick, della sua avidità, della sua sconsideratezza, scarsa
lungimiranza, maschile tracotanza?
Sarà colpa di Nicole, di un suo sottile e feroce egoismo, della sua fragilità
sentimentale, della sua natura nascosta di mantide sottotraccia?
No, niente sentenze, ciascuno se vorrà le troverà e le cercherà nel libro.
Letteratura è quando non si danno per decreto autoriale verità preconfenzionate
e non scalfibili, ma mero arricchimento sconfinamento, travisamento dei propri
orizzonti e tramonti, insomma, viaggio verso una speranza senza mai arrivo, che
siamo umani e nulla più.
E la morale è che le cose iniziano per finire, soprattutto certe cose. Una
storia amore che finisce, ché tutto finisce prima o poi, anche la bellezza e d
il godimento, come filosofi e generalisti del nichilismo sogliono dire e
ridire,ha un suo segreto. Certe cose, certi sentimenti, certe relazioni
finiscono più del resto, inesorabilmente senza spazio e senza appello, perché
alla fine terminano non per mancanza di tempo ma per naturale consunzione,
mancanza di commistione, un fuoco che diventa cenere ed il vento
dell’inevitabile spazza via tutto non lasciando che qualche traccia
sbruciacchiata fra le pieghe della memoria. La vita è una cosa meravigliosa, ma
noi esseri umani siamo quasi divini nel complicarcela. Amo dire a tutti questo
e credo che questo romanzo, nel complesso, possa riassumere in maniera
convincente quanto vado pensando.
Uscito nel 1934,
“Tenera è la notte” è il penultimo romanzo di Fitgerald, peraltro giornalista
ed autore di tanti ed invitanti racconti, per inciso. L’autore morirà nel 1940,
quando aveva solo 45 anni, usato ed abusato dal dolore per il suo matrimonio
disintegrato ed a cui, a detta della cronache, cercò di dare sostegno e vigore,
perduto dall’alcolismo, dalla dissipazione sentimentale e dalla difficoltà di
reperire modi e tempi per sviluppare il suo talento, nonostante che per anni
avesse recitato una parte da protagonista nel mondo della letteratura
americana. Un uomo forse a metà ed un autore credo incompiuto, facendo la
debita bonifica tra gossip e realtà.
Certo, trovo le parti diseguali, nella tripartizione del romanzo. La prima
ricalca, per certi versi, alcune ossessioni di quello che considero il
capolavoro di Fitzgerald, “Il grande Gatsby”, di cui ho già parlato qui e
dunque non mi ripeto. Le altre due invece denotano una evoluzione narrativa di
non poco conto, preso atto delle differenti versioni in circolazione del
romanzo (tre, a quanto pare) e che l’autore, schiacciato fra realtà e menzogna,
volto al successo ma oberato da debiti e difficoltà famigliari, di fatto non editò
mai una versione definitiva, per la gioia dei rapaci avvoltoi che si dedicarono
alla ristampa sostenendo questa o quella, con tanto di beneplacito dall’ormai
morto deus ex machina. Già che tristezza direte, ma l’arte va così, è molto più
avventata e misteriosa, nei suoi esiti, delle speculazioni in borsa e delle
conseguenze della globalizzazione.
Per quanto mi riguarda, sulla base dell’edizione letta, trovo riecheggi (che
non sono calchi ne plagi) dell’atmosfera che si respirava in “Fiesta” (1926) di
Hemingay, specie nelle parti corali, ipotesi tutt’altro che avventurosa visto
che i due di conoscevano e leggevano. L’unico Hemingway che ho pienamente
recepito in toto ed amato, dunque si tratta di riecheggio di non poco conto.
Anche di questo romanzo, intensamente amato di recente, ho già detto, inutile
allungarsi.
Ma traccio qualche linea di confronto. Questi amori di varia natura e colore.
Questi americani in Europa, travolti da disagi interiori, impotenti di fronte
alla Storia ma capaci di annientarla solo con il conto in banca. La struttura
narrativa fatta di silenzi e di assordanti rumori, proprio quando non te li
aspetti. E.
Un uomo, una donna, si piacevano, lo giuro, come mantenerli assieme o come
separarli?
Trovo
anche che episodi della vita entrino troppo prepotentemente in episodi della
finzione in Francis Scott (qui per esempio c’è una sorta di rissa
all’amatriciana in Roma che è successa veramente ed ha un suo rilievo
narrativo). Uno dei suoi difetti forse. Non separare la scrittura dal vissuto, tanto
che alla fine rimane in me la certezza che questo narratore dotatissimo abbia
rovinato (o l’abbiano rovinato) gli effetti inevasibili e talvolta nefasti che
ogni vivere comporta.
Non so che dire a proposito del finale dolce amaro, che in realtà rivela e
tambureggia una sonora sconfitta ed un decisa formattazione della propria vita
da parte di Dick ed una nuova alba per Nicole, alba incerta e tremula, sfiorata
dal vento inopportuno del mero opportunismo. Finale architettato certo, forse
tutto sommato prevedibile ma non scontato e direi dotato di una sua profonda
verità, di una limpida dignità estetica e narrativa e di una sua propria forza
e luce.
Testo romantico nel senso più lato del termine, non quello attualmente mocciano
e sdolcinato, ma nel senso di impotenza ma nello stesso tempo capacità di,
malinconico, in qualche passo addirittura struggente. Dallo stile come sempre,
visto l’autore, originale e compatto, letterario, rapido ma mai superficiale,
sintetico e quanto mai denso.. Quattro quasi cinque stelle, a siglare una certa
incompiutezza che decreto con rabbia e nessuna soddisfazione.
su ciao.it il 25.08.2009
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