Carter,
Bz, Maria, Helene. E altri uomini altre donne, un immenso vuoto che
nessuno drink o spinello potrà mai riempire, né tantomeno il sesso usa e getta.
Il male di vivere, la capacità di r-esistere alle intemperie, alle delusioni,
all'inafettività straripante, ai dolori.
"C'è
una cosa a mia difesa, non che importi: so qualcosa che Carter non ha mai
saputo, e neppure Helene, e forse neppure voi. So che cosa significa
"nulla", eppure continuo a giocare.
Perché,
direbbe BZ.
Perché
no, dico io”
Marie
è la disperazione allo stato puro anche quando ride o gode, Maria è la
solitudine fatta di tante compagnie che non accompagnano, lei attrice con dieci
minuti di celebrità alle spalle è il tramonto che disconosce e dimentica l’alba,
è una figlia malata e psicotica, è un matrimonio disastroso, un aborto doloroso
e devastante come solo la perdita di un nascituro voluto e difeso può essere, è
il peccato non originale, è l’autocommiserazione, è la sconfitta avendo deciso che
la vittoria non può far parte della sua vita.
Una
storia certo raccontata più volte quella del mondo dello spettacolo ed il suo
backstage fatto di insulse aspirazioni, falsi convenevoli e tanta povertà
sentimentale. La differenza la fa una prosa secca e poco ammiccante, dove anche
il dolore più scabroso è scavato e mostrato con una essenzialità che lo rende
ancora più feroce e crudele. Agili e rapidi capitoli che piano piano ci
mostrano la discesa all’inferno della protagonista dove è sempre il non detto a
farala da padrone in quanto la Didion è stupefacente a dettare il contorno dove poi
con talento puro e strabiliante crea con le parole un silenzio che fa rumore.
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