28 maggio 2015

Prendila così (Joan Didion)

Carter, Bz, Maria, Helene.  E altri uomini altre donne, un immenso vuoto che nessuno drink o spinello potrà mai riempire, né tantomeno il sesso usa e getta. Il male di vivere, la capacità di r-esistere alle intemperie, alle delusioni, all'inafettività straripante, ai dolori.
"C'è una cosa a mia difesa, non che importi: so qualcosa che Carter non ha mai saputo, e neppure Helene, e forse neppure voi. So che cosa significa "nulla", eppure continuo a giocare.
Perché, direbbe BZ.
Perché no, dico io”

Marie è la disperazione allo stato puro anche quando ride o gode, Maria è la solitudine fatta di tante compagnie che non accompagnano, lei attrice con dieci minuti di celebrità alle spalle è il tramonto che disconosce e dimentica l’alba, è una figlia malata e psicotica, è un matrimonio disastroso, un aborto doloroso e devastante come solo la perdita di un nascituro voluto e difeso può essere, è il peccato non originale, è l’autocommiserazione, è la sconfitta avendo deciso che la vittoria non può far parte della sua vita.

Una storia certo raccontata più volte quella del mondo dello spettacolo ed il suo backstage fatto di insulse aspirazioni, falsi convenevoli e tanta povertà sentimentale. La differenza la fa una prosa secca e poco ammiccante, dove anche il dolore più scabroso è scavato e mostrato con una essenzialità che lo rende ancora più feroce e crudele. Agili e rapidi capitoli che piano piano ci mostrano la discesa all’inferno della protagonista dove è sempre il non detto a farala da padrone in quanto la Didion è stupefacente a dettare il contorno dove poi con talento puro e strabiliante  crea con le parole un silenzio che fa rumore.

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