24 novembre 2015

La famiglia Manzoni (Natalia Ginzburg)

Egoista. Egocentrico. Egotico. Un buono che però, volente o nolente , dispensa male, delusione, tristezza, affaticamento e delusione sentimentale. Alessandro Manzoni, Alias i Promessi Sposi alias colui il quale viene considerato il fondatore della lingua italiana moderna con la graziosa collaborazione di un centinaio di persone ignare, nonché il nostro romanziere di punta a detta della critica officiante ed imperante, da alcuni in assoluto, da altri, meno avventati ed onesti, solo dell'ottocento.
Non so per quanti rappresenti una sorta di incubo, di rigurgito velenoso di lettura imposta, quantomeno a suo tempo (ah gioventù "che di beltà splendevi") noiosa e degna solo della rivisitazione sbeffeggiante in serie televisiva fatta dal famoso Trio. ovvero Solenghi-Marchesini -Lopez. Va da se che io ancora non l'ho digerito. Ma certo "I promessi sposi" sono un crocevia obbligatorio per tutti quanti noi hanno intrapreso gli studi superiori. E Manzoni, l'autore, oltre che come il più importante romanziere italiano di ogni tempo, ci viene presentato come uomo di nobile animo, di fervidi interessi umanitari e sociali, capace di benevole e paternalistiche iniziative nonché di benefici e cristianeggianti meritorie elemosine materiali e spirituali, dedito alla famiglia ma assunto dall'arte, sapendo ben amalgamare due attività così distanti e dissimili, pieno di ammirevoli ideali ed entusiasmanti slanci patriottici.
Non è così, almeno così è, se vi pare.
 
 
Il buonismo paternalista e illuminato dalla pietas cristiana insomma vacilla impietosamente, quello di cui il Nostro pareva e pare ancora tutto unto e spalmato, a leggere manuali ed esegesi critiche degne di quelle fatte per gli Evangelisti del primo sacro Evangelio o perlomeno quello che a noi è pervenuto in tal maniera.

Quest'uomo aveva (forse, non sta a me dirlo, soprattutto qui ed ora) delle grandi doti artistiche. Ma come persona era veramente il peggio del peggio, a meno che non vogliamo eludere il contenuto dei comportamenti e delle lettere autografe contenute nel testo che recensisco e fare finta che tutto sia un enorme abbaglio.
In questo libro, redatto con enorme fatica e perigliosa ricerca dalla Ginzburg, Manzoni, benché non protagonista ma mero attore di un variegato scenario famigliare, appare soprattutto ipocrita e scansafatiche, mellifluo ed arroccato sulle proprie necessità, pronto comunque a pararsi le terga, ad ogni costo. E dire che era un fortunato predestinato. Di buona famiglia, nasce nel 1785 subito nell'alveo della buona "intellghenzia" nobile milanese di quegli anni. Padre ricco e nobile, nonché conte, anche se in dismissione economica e sociale. Madre figlia del famoso Beccaria, quello de "Dei i delitti e delle pene". I genitori sono divisi da oltre 25 anni di differenza. Lui, il padre, è ovviamente arruginito e quasi polveroso, la madre è vivace e ribelle. Vien da se che la donna abbandonerà il tetro panorama familiare fatto di vergini zitelle cognate e canonici di campagna, prima amoreggiando con i brillanti e bohemiens Verri, poi scappando a Parigi con il bello e dannato Carlo Imbonati. Ad Alessandro rimarrà il collegio ed una figura paterna che ricorda una pallida contifigura di un patetico Don Abbondio. Quasi un contrappasso, anzi, per certi versi. una premonizione.
Si sposa relativamente presto, dopo aver bazzicato l'allora vivace e avvolgente Parigi di inizio Ottocento grazie alla intraprendente e libertina madre. E da lì, dal matrimonio, sarà un sussegursi di produzioni letterarie sempre più apprezzate e tragedie familiari sempre più squallide e miserrime. Qualunque telenovela, anche la più efferata, impallidirebbe al confronto. La vita di Manzoni sarà circondata dalla morte,dalla malattia, dalla sofferenza, dagli abbandoni, dalle partenze, più che
dai ritorni. Non entrerò nello specifico dettaglio, ma qualche incisiva notazione.
La moglie presto evidentemente malaticcia e di salute cagionevole, sarà protagonista (vittima?) di almeno dodici gravidanze, che porteranno a ben nove parti. Il progressivo deterioramento della salute non impedirà al marito di proseguire nel rapporto sessuale e nella logica conseguenza, Bravo, mio Alessandro. Tutti sanno, compreso te, che quella donna comprata per moglie come allora in voga, non ce la fa. Nonostante nelle lettere egli professi amore, rispetto, comprensione, la donna continua ad essere ingravidata senza sosta. Sconvolgente. La donna, Enrichetta Blondel, morirà quasi cieca e sfinita nel 1833.
Le figlie femmine periranno tra incredibili sofferenze., quasi tutte. Due dei tre figli maschi saranno delle croci. Enrico per completa inabilità alla vita lavorativa, Filippo per arroganza. superbia, forse ribellione congenita. Daranno noie e problemi fino alla loro morte (caso strano Manzoni sopravisse a tutti tranne che a due dei suoi figli, i più innamorati e devoti, a detta del libro, Vittoria e Pietro. Mah.).
Per varie ragioni (economiche e di salute, visto che la moglie era spesso a letto e lui era vittima di malattie nervose di incredibili effetti e di scarse cure, capace di sbandare e delirare per il semplice cambio del tempo, a detta sempre di chi lo frequentò) i figli saranno spediti a destra e a manca in collegi o famiglie amiche. Le figlie Vittoria e Matilde, ultime a venire al mondo e preda delle più dolorose malattie, sarnno dimenticate dal padre per anni, nonostante le loro tenere ed amorose lettere di amicizia.
Poi Fauriel. Intellettuale francese, alfiere delle teorie romantiche nel suo paese, che si prodigò a diffondere e tradurre Manzoni giovane in Francia senza nessuna retribuzione, ma in nome dell'arte. Da un certo punto in poi fu dimenticato dal buon Alessandro e poi vanamento ricercato e concupito. Queste alcune perle, ma ve ne sono disseminate altre, nel testo..
Dura la vita dello scrittore, perso tra i suoi fogli, stritolato dalle maestose idee da mettere su carta e che però a volte la penna rifiuta.Terribile, quasi angosciante direi. Come lo capisco, questo Alessandro Manzoni, il più grande romanziere italiano. Capace di non scrivere per più di un anno al suo affezionato e devoto mentore francese Fauriel. Capace di non resistere agli impulsi sessuali,ma senza precauzioni in nome della sua professata religiosità ed insomma spiegatelo ad Enrichetta Blondel, notoriamente di salute cagionevole e vittima dei mali più disparati eppure impelagata in gravidanze ed a partorire ed accudire ben otto figli nati sopravissuti oltre i due anni. E quei figli così vive la sanguisuga. E lui, Manzoni, sempre alla ricerca di soldi, vittima dei suoi mali, delle sue manie botaniche, di qualche raggiro editoriale, sfortunato che non è altro, che si dimena fra un circolo letterario e l'altro, finché viene eletto senatore del regno anche se lui non vuole e la sua ultima figlia Matilde muore, fra rantoli, vomiti e cure inadatte.

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Nel complesso, tuttavia, nonostante l'interesse suscitato dall'argomento, il testo di per sé non mi è piaciuto. A differenza del romanzo autobiografico  Lessico famigliare. La scrittura della Ginzburg (1916-1991) non mi convince. Donna di lettere che per le esecrabili, imperiture e dannate imperizie di certi fascio-nazismi perse il primo marito nel 1944 e che si dedicò alla scrittura in amore come nella vita, non è prolissa né invadente, ma estremamente raffozanata e disordinata. Stile e ritmo procedono diseguali, si rimane semrpe in bilico fra evidenti partecipazioni ai destini umani come ici si trova in mpietosi distacchi immotivati e francamente irritanti, fulminei e ciclotimici, che rendono di fatto impossibile una ragionevole lettura. Il tentativo di imparzialità naufraga, come quello di essere e di stendere una cronaca più che un racconto. Stralci o interi riporti del cospicuo numero di epistole lette, navigano a vista. A volta eccessivamente corposi, a pioggia. A volta distillati goccia su goccia, rarefatti, persino quasi incomprensibilmente citati. Diseguale, disomogenea, discontinua allora risulta la lettura della prosa. Rimane il fatto che ne sono rimasto, per i contenuti indubitabilmente, profondamente colpito.

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