24 novembre 1991. A Londra,
nella sua faraonica villa in Kensington si spegne a 45 anni Freddie Mercury,
cantante e front man della band inglese dei Queen. Una vita fuori dai limiti,
da vera star, tra eccessi e clamori, folle adoranti e vendite stratosferiche,
bruscamente interrotta dall'Aids. Il clamore è enorme.
Mercury, che in realtà si
chiamava Farrokh Bulsara, era nato nel 1946, nell'isola di Zanzibar, da una
famiglia di origine persiana, che professava la religione parsi, tratteggiata
nel libro come abbastanza rigida e che influirà probabilmente sul carattere del
giovane.
Il padre lavorava nella amministrazione civile britannica e l'impiego
permetteva un tenore di vita molto alto. Ben presto dovettero trasferirsi in
India, per lavoro. A quanto pare, col tempo, questa infanzia a Zanzibar in
Mercury non lascerà traccia, mentre più significativa sarà l'esperienza di
Bombay, centro commerciale vitale di quelle zone, anche perché fu mandato in
collegio. Causa anche i frequenti ed improvvisi impegni del padre, Mercury
visse a lungo lontano dalla famiglia, anche durante le vacanze. Imparò ad
essere autosufficiente, a difendersi dai soprusi degli anziani del college cui
era iscritto. Repirò intensamente l'aria viva, fibrillante e confusa della
città. Conobbe il rock'nroll, manifestò negli anni una spiccata teatralità e
amore per la musica, ebbe il suo primo rapporto omosessuale. Insomma furono
anni decisivi, dove ad una necessità di esibirsi quasi patologica faceva da
contraltare la sua riservatezza nella vita privata.
Quando il giovane, di carattere
appartato ed introverso è costretto ad emigrare di nuovo, stavolta nell'anonima
provincia londinese, nel Middlesex, siamo alla svolta. Vittima del bieco e
ottuso razzismo inglese di provincia, forgiò definitivamente il suo
carattere.Ingigantì a dismisura i suoi difetti, le sue goffaggini, il suo
bizzaro modo di essere esteriormente, mettendo alle strette un ambiente che ne
voleva fare uno zimbello. Li disorientò, indossando un “costume di scena” che
diventerà una cifra comportamentale per tutta la vita. Era una cosa
terribilmente seria non prendersi sul serio e questa scelta esistenziale
catapultò il giovane nei ribollenti, catartici, sconvolgenti anni sesssnta
londinesi. Nonostante le resistenze della famiglia nel 1966 riesce ad
iscriversi ad un corso di arti grafiche e design, andando a vivere a
Kensington, nel cuore di Londra. Ha scoperto di detestare lavori manuali e la
fatica oscura di umili impieghi di fortuna, nonché di non essere versato agli
usuali studi universitari auspicati dalla famiglia
Ma ben presto scoprirà Hendrix, il rock, quella musica rivoluzionaria che nelle
sue composizioni, scomposizioni, varietà e iterazioni, sarà la colonna sonora
di un intero mondo. Al corso presso l'Ealing college, pur mantenendosi sulle
sue, fa amicizia con Tim Staffell. La musica li unisce. Tim è cantante e
bassista degli Smile, dove ci sono il chitarrista Brian May ed il batterista
Roger Taylor, due futuri componenti della band. Gli Smile, come decine di altri
gruppi, suonano spesso nei vari locali dedicati alla musica, hanno seguito.
Mercury comprende due cose: il suo futuro è diventare una rockstar. Ed il suo
gruppo sarà quello, punto. Caparbio testardo, dinamico, li seguirà ovunque,
criticandone il look soprattutto. Continuerà ad imperversare durante le loro
prove, cercando di affinare una voce ancora acerba ed un orecchio ancora poco
musicale. Gli Smile per ora rifiutano il suo ingresso nel gruppo ed approdano
ad un 45 giri, ma sarà vita effimera, breve. Staffell taglia al corda, oramai
siamo all'inizio del 1970 , non vede futuro. Da abile manipolatore qual era, Mercury
approfitta subito della dipartita, ossessiona May e Taylor, alla fine si fa un
gruppo. E lui ne sarà non solo il cantante, ma anche il curatore dell'immagine.
Oramai da tempo ha capito che in certi mondi essere è come apparire. E
soprattutto bisogna apparire diversi, sgargianti, se ci si vuol fare spazio.
Solo così potrà coronare il suo sogno di successo, di essere finalmente al
centro del palcoscenico come ha sempre pensato di fare. Tour circostanziati e
massacranti, avventure di ogni tipo, mentre la scena londinese diventa la
piazza più appetibile per sfondare nel mondo della musica. Freddie ben presto
diventa il leader, anche se si trova di fronte delle personalità forti che lui
accuratamente viviseziona ed ammalia, sfruttando la sua oramai nota capacità di
ascolto, la sua tendenza a farsi piangere sulla spalla ed a offrirti aiuto.
La band oramai è nata. Il nome prescelto è Queen, che in gergo ha connotazioni
omosessuali, ma Freddie non se ne cura o fa finta di. Anzi, è in questo periodo
che si sceglie anche un cognome d'arte, dato che il nomignolo Freddie se lo
portava appresso sin dalle elementari. Sceglie Mercury, dal dio Mercurio, altra
scelta che rivela molto. Il resto magari è storia già nota, termina l'accurato
mio resoconto biografico. Basti dire che i Queen esordiscono nel 1973 con il
primo LP e in breve tempo diverranno una fabbrica di hit. Leggendarie le
performance dal vivo ed i loro tour estenuanti, nonché la loro prolificità.
Indiscutibile il fatto che al di là dei gusti personali, il sound dei Queen
sarà un marchio irripetibile, inimitabile, difficilmente catalogabile
musicalmente e sostanzialmente composito, studiato, frutto di diverse
contaminazioni ed illuminazioni. Mercury diviene una vera rockstar, si
abbandona a capricci e stravaganze di ogni tipo, a volte misantropo a volte
coinvolgente e corale, lunatico, sempre molto appartato. E soprattutto oramai,
nel suo intimo, sa di essere solamente e nettamente omosessuale, nonostante il
tenero e duraturo legame con Mary Austin, un'amicizia tenera, quasi
incredibile, un amore mai sbocciato ma che li fece convivere per oltre sette
anni. Probabilmente lei amava lui e lui aveva bisogno di lei, se rimasero
uniti, almeno emotivamente se non sessualmente, fino alla morte di Mercury .
Infedele, dai gusti sessuali insaziabili, Freddie organizza vere e proprie
orge, è ormai acclarato cocainomane, può permettersi tutto e fa del tutto per
ostentare questo suo potere. La rivincita del pivello solitario che
caparbiamente ha raggiunto il centro della scena e non vuole abbandonarla più.
Sarà l'Aids a strapparlo da dove si era tenacemente installato e rimarrà unico,
così come aveva desiderato e così come aveva edificato la sua parabola
artistica.
Tanti, troppi episodi
memorabili da citare dal libro. Ne ricorderò due. Le polemiche molto accese per
un loro concerto in Sudafrica, in pieno regime di apartheid e la trascinante
epica loro perfomance al Live Aid del 1985, concerto benefico per i neri
d'Africa che avevano precedentemente ignorato. Tutto in nome del fatto che lo
Show must go on.
Insomma una lettura interessante questa biografia redatta da Laura Jackson, autrice di libri analoghi. Stile giornalistico ma non troppo, tono asettico, anche se spesso ho notato una certa insistenza a deprecare la sessualità quantomeno esuberante di Mercury e a evidenziare con fare materno le “normali” eccedenze di una rockstar. Interessante il rivolgere paragrafia curiosità non morbose da backstage. Apprezzabile il fatto di notiziare su dettagli ritenuti importanti e sconosciuti ai più, invece di indulgere in descrizioni sofisticate di musiche, tonalità, riff. Ne emerge il ritratto di un uomo dal carattere variegato, istrionico, rutilante ed eccessivo nel suo lavoro, ma capace di preservare la propria intimità dai clamori del palco. Soffrì sino all'ultimo della sua omosessualità, che dichiarò in maniera netta e recisa, senza smentite o ripensamenti come in passato, solo il giorno prima della morte, assieme alla terribile malattia contratta di cui non aveva fatto parola alcuna con i compagni di avventura, con i quali peraltro i rapporti erano tesi sin dagli inizi degli anni Ottanta, per usura, avidità e tutto il resto che ha segnato il destino di decine di rock-band di successo mondiale. Un ondeggiare continuo fra l'egoismo ed il riserbo, una professionalità fuori dalle righe come la volontà di esibizionismo faceva da contraltare ad una solitudine interiore piuttosto marcata che non gli impedì di avere legami anche affettivi saldi e duraturi nonostante le sue testardaggini quasi fanciullesche, la sua incapacità di non tradire, quella sua innata voglia di plasmare le personalità e voglie altrui.
Insomma una lettura interessante questa biografia redatta da Laura Jackson, autrice di libri analoghi. Stile giornalistico ma non troppo, tono asettico, anche se spesso ho notato una certa insistenza a deprecare la sessualità quantomeno esuberante di Mercury e a evidenziare con fare materno le “normali” eccedenze di una rockstar. Interessante il rivolgere paragrafia curiosità non morbose da backstage. Apprezzabile il fatto di notiziare su dettagli ritenuti importanti e sconosciuti ai più, invece di indulgere in descrizioni sofisticate di musiche, tonalità, riff. Ne emerge il ritratto di un uomo dal carattere variegato, istrionico, rutilante ed eccessivo nel suo lavoro, ma capace di preservare la propria intimità dai clamori del palco. Soffrì sino all'ultimo della sua omosessualità, che dichiarò in maniera netta e recisa, senza smentite o ripensamenti come in passato, solo il giorno prima della morte, assieme alla terribile malattia contratta di cui non aveva fatto parola alcuna con i compagni di avventura, con i quali peraltro i rapporti erano tesi sin dagli inizi degli anni Ottanta, per usura, avidità e tutto il resto che ha segnato il destino di decine di rock-band di successo mondiale. Un ondeggiare continuo fra l'egoismo ed il riserbo, una professionalità fuori dalle righe come la volontà di esibizionismo faceva da contraltare ad una solitudine interiore piuttosto marcata che non gli impedì di avere legami anche affettivi saldi e duraturi nonostante le sue testardaggini quasi fanciullesche, la sua incapacità di non tradire, quella sua innata voglia di plasmare le personalità e voglie altrui.
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Su ciao.it il 11.03.2012
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