30 giugno 2016

Il Vangelo secondo Pilato (Eric-Emmanuel Schmitt)



Ponzio Pilato scrive al fratello Tito con profonda inquietudine: racconta che la tomba di Jeshoua è vuota ed il corpo del mago di Nazareth è scomparso. Pensava di archiviare l'odiata Pasqua ebraica senza fastidi ulteriori, ma non è stato così. Per lui sicuramente il corpo è stato trafugato, ma la voce di una impossibile resurrezione potrebbe avere effetti devastanti sulla regione da lui amministrata per conto di Roma. Gli equilibri politici sono infatti instabili, tra sacerdoti del tempio, zeloti e meri criminali à la Barabba. La moglie Claudia continua imperterrita a sostenere che quell'uomo non era un ciarlatano abile e dalla personalità magnetica ma il Messia, il figlio di Dio. Pilato analizza la situazione, avvia ricerche  a tutto campo, assiste al progressivo cedere alla forza di Joshua di Caifa, capo dei sacerdoti a lui fedeli ma anche dei suoi stessi amici fidati, a partire dall’enigmatico e lussurioso Fabiano.





Delle vicende dei vangeli rilette da scrittori, ho amato Il vangelo secondo Gesù Cristo e apprezzato Il Vangelo di Giuda del nostro Roberto Pazzi, come La notte del lupo  di Vassalli dedicata appunto a Giuda. Speravo anche qui di rimanere soddisfatto ma non è successo.
Schmitt fu fulminato sulla via di Damasco in un giorno del 1989, nel deserto del Sahara. Con energica vigoria da allora si è dedicato a narrare filosoficamente la sua concezione di fede e religione. Il Vangelo secondo Ponzio Pilato è architettato su una struttura bipolare. Prima la confessione della prossima vittima Jeshoua, che sta attendendo i suoi carnefici sul monte degli ulivi ed analizza con lucida ed impassibile razionalità la sua storia di uomo “troppo dio” per rimanere uguale ed indifferente ai suoi simili. Qualche lontana eco di Saramago - paradossale, vista la diversa concezione in merito dei due autori. Poi le lettere di Pilato a suo fratello Tito, la parte del libro sicuramente più riuscita e meno appesantita dalla teologia, in alcuni passi scandita come un giallo classico. Prosa un po' troppo stagnante e ridondante, che a volte si perde nella sua stessa significanza e finisce per avvilupparsi su se stessa, quasi soffocando. E certo questo Pilato è meno pirotecnico e meno stupefacente di quello che vive nelle pagine dell'immortale "il maestro e Margherita" di Bulgakov.

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