Un gioco, certo.
Ma di altissima classe, ostico in alcune parti,
poetico e suadente in altre, filosofico a tratti, con una ricercatezza
lessicale e strutturale che emergere nitidamente il cristallino talento
dell'autore.
Conoscevo Cortazar come maestro del racconto
fantastico moderno, quello di Bestiario per
dire o Tanto amore per Glenda, e pur continuando a ritenere che la
forma più breve gli sia più congeniale, l'ho scoperto romanziere
"folle", torrenziale nonché vertiginoso e ambizioso.
La storia raccontata è quella di Horacio,
argentino a Parigi costretto a rientrare alla natia Buenos Aires perché
cacciato dai propri amici, con l’ossessione di una donna magica e
incomprensibile che non ha saputo amare, e lì si ritrova ospite d'un vecchio
amico e la sua compagna. Ma trattasi di un mero espediente per mettere in opera
funambolismi letterari, riflessioni cosmiche, paure ancestrali.
Malinconia, speculazione filosofica, spiritualità indiana, surrealismo, l'ossessione del doppio, i corsi e ricorsi, il nulla cosmico, l’essere ed il non essere di heideggeriana memoria. Ecco pensate a questi temi certo non facili, mischiateli senza paura ed ecco che abbiamo quest'opera che alla sua uscita destabilizzò la critica militante ed appassionò i giovani perché è un antiromanzo tradizionale, che se ne fotte delle regole classiche, dell’unità di tempo e di luogo e dello psicologismo imperante allora e produce qualcosa di nuovo e a mio parere strabiliante, nonché inimitabile.
Un inno alla letteratura dura e pura, dove la
trama è quantomeno inconsistente e sono i frammenti a brillare di luce
propria, come le stelle, ma non quelle cadenti. Un romanzo che può essere letto
come pubblicato o seguendo un diverso ordine di capitoli suggerito dell'autore
oppure eludendone tutta una terza parte che in realtà rinsalda o disperde le
certezze acquisite nelle due precedenti. Una sfida totale e totalizzante alle
letture amorfe e passive ed al conformismo.
Personaggi che non possono non rimanere scolpiti
nella mente, nel loro rifrangersi ed infrangersi, dipingersi o cancellarsi. La Maga,
dalle titubanze ancestrali, l'amore ballerino ma solido e concreto, le visoni
mistiche e le domande inutili oppure le mille vite di Ossip Gregorovius, che tanto il passato non
conta o gli atroci dubbi e le ripide paure di Traveller, la composita e
bislacca compagnia del Club parigino, per dirne solo alcuni. Per non dire dei minuziosi riferimenti alla musica Jazz allora imperante, le citazioni letterarie o storiche, le allusioni alla contemporaneità.
Unico e indimenticabile. Come tutte le follie
che non fanno male, magari possono pure non piacere ma è un peccato, perché
fanno godere.
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