04 luglio 2016

Rayuela- Il gioco del mondo (Julio Cortazar)

Un gioco, certo.
Ma di altissima classe, ostico in alcune parti, poetico e suadente in altre, filosofico a tratti, con una ricercatezza lessicale e strutturale che emergere nitidamente il cristallino talento dell'autore.
Conoscevo Cortazar come maestro del racconto fantastico moderno, quello di Bestiario per dire o Tanto amore per Glenda, e pur continuando a ritenere che la forma più breve gli sia più congeniale, l'ho scoperto romanziere "folle", torrenziale nonché vertiginoso e ambizioso.
La storia raccontata è quella di Horacio, argentino a Parigi costretto a  rientrare alla natia Buenos Aires perché cacciato dai propri amici, con l’ossessione di una donna magica e incomprensibile che non ha saputo amare, e lì si ritrova ospite d'un vecchio amico e la sua compagna. Ma trattasi di un mero espediente per mettere in opera funambolismi letterari, riflessioni cosmiche, paure ancestrali.





Malinconia, speculazione filosofica, spiritualità indiana, surrealismo, l'ossessione del doppio, i corsi e ricorsi, il nulla cosmico, l’essere ed il non essere di heideggeriana memoria. Ecco pensate a questi temi certo non facili, mischiateli senza paura ed ecco che abbiamo quest'opera che alla sua uscita destabilizzò la critica militante ed appassionò i giovani perché è un antiromanzo tradizionale, che se ne fotte delle regole classiche, dell’unità di tempo e di luogo e dello psicologismo imperante allora e produce qualcosa di nuovo e a mio parere strabiliante, nonché inimitabile.
Un inno alla letteratura dura e pura, dove la trama è quantomeno inconsistente e sono i frammenti a  brillare di luce propria, come le stelle, ma non quelle cadenti. Un romanzo che può essere letto come pubblicato o seguendo un diverso ordine di capitoli suggerito dell'autore oppure eludendone tutta una terza parte che in realtà rinsalda o disperde le certezze acquisite nelle due precedenti. Una sfida totale e totalizzante alle letture amorfe e passive ed al conformismo.
Personaggi che non possono non rimanere scolpiti nella mente, nel loro rifrangersi ed infrangersi, dipingersi o cancellarsi. La Maga, dalle titubanze ancestrali, l'amore ballerino ma solido e concreto, le visoni mistiche  e le domande inutili oppure le mille vite di Ossip Gregorovius, che tanto il passato non conta o gli atroci dubbi e le ripide paure di Traveller, la composita e bislacca compagnia del Club parigino, per dirne solo alcuni. Per non dire dei minuziosi riferimenti alla musica Jazz allora imperante, le citazioni letterarie o storiche, le allusioni alla contemporaneità.
Unico e indimenticabile. Come tutte le follie che non fanno male, magari possono pure non piacere ma è un peccato, perché fanno godere.

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