06 luglio 2016

La terra vista dalla luna (Claudio Morici)

 “ A generation without name, ripped and torn/ Nothing to lose, nothing to gain/ Nothing at all” cantava tanto tempo fa con forza e rabbia un giovane gruppo irlandese sanguigno e travolgente chiamato U2 e guidato da un cantante carismatico e visionario dal nome d’arte Bono Vox. “Una generazione senza nome, lacerata e tormentata niente da perdere, niente da guadagnare”, urlava allora Bono, in uno dei tanti loro pezzi giovanili ormai ingiustamente nell’oblio, “Like a song” per l’esattezza. Ecco appunto si era agli inizi degli anni ottanta e qualcuno con lungimiranza già gettava uno sguardo in avanti, confrontandosi con le enormi ed avvolgenti pochezze che stagnavano d’intorno e si preparavano a fagocitare il nostro futuro, il mio, il suo, il nostro.




Deserti polverosi e senza confini agitano le azioni ed i sentimenti di questi figli di nessuno protagonisti del romanzo, giovani se non giovanissimi certo, padri putativi di incerti giorni a venire e figli del più grande passo verso l’omogeneizzazione delle culture e delle tradizioni, delle economie e delle speranze, dei guadagni e delle perdite che la storia dell’uomo ad oggi conosca: il vangelo dell’economia globale. Nella storia dell’apparente giovane vecchio Simon, afflitto da turbe paranoiche e reduce da una casa di cura, posseduto dalla voglia della ricerca quasi impossibile di quiete e felicità se solo ritrovasse e rendesse in carne ed ossa la sua ossessione. Quella vivace ma alquanto scomposta fiamma che ha incenerito la sua voglia di solitudine dal nome di Antonella, dai comportamenti quantomeno bislacchi ma decisamente ormai consuetudine, persa alla ricerca di e posseduta dall’ ansia per, confusa e commista alle variegate gioventù occidentali, accecate e derise dalle loro stesse imberbi velleità e dalle loro(?) ataviche ed ormai cancerogene aspirazioni, accecati dal nuovo e dal diverso ad ogni costo e low cost, purché sia assolutamente trendy e confezionato anche quando trattasi di mera e semplice vacanza avventurosa in uno pseudo posto affiascinante e vagamente mitizzato come vergine: il Messico, ormai meta di viaggi di nozze e americanizzato ed insolvente cibo per gli affamati di zapatismo e spiritualità, storia e lsd, un’orgia del benpensantismo da supermercato e padroneggiato dal neo consumismo, offerto come luogo da post-hippies radical chic e neo sessantottini.
Il passato non torna e questi ragazzi sono invecchiati nell’anima, nell’agire e nel midollo delle idee, più si ribellano e più sono assuefatti (anzi fatti e strafatti) alle più normali e globali idee e dell’occidente che credono di combattere e fuggire quando invece lo nutrono e lo sostentano, grazie anche alla mancata educazione ed al foraggiamento economico di una società di genitori allo sbando dediti anch’essi al recupero di identità impossibili oppure alla semplice ninfomania ed altre varianti sul sesso carpe diem. Simon sa di essere diverso ma non usufruisce della sua diversità in termini propositivi e concreti, anzi si dedica inconsapevole alla quasi voluttuosa autodistruzione pur di dare linfa vitale alla sua decrepita e fatua ricerca del nulla. Antonella infatti, non si trova. Purtroppo non sono certe le guide con tante di stelle e stelline di gradimento edite da Lonely planet a poter fungere da bussola e ridare orientamento ad una variegata umanità arrugginita dai mali del capitalismo avanzato (e poi marcito) in nome di ancestrali ritualità e logiche del caso e delle cose, quando ormai si sa bene che da est ad ovest, dalla remota Africa alla fredda Siberia moltissime persone ancora non hanno accesso ad Internet e combattono comunque ogni giorno la fame nera o bianca che sia.
Romanzo insomma amaro ed amareggiante, certo a volte furbo ed ammiccante, che non rifiuta l’utilizzo di strutture e stilemi narrativi ormai certo non di prima mano, non per questo stereotipato o banale. Risulta comunque convincentemente narrato e vero. Certo è un grido d’allarme, a volte forse eccessivamente personalizzato ed utilizzato come arco per scagliare frecce autoreferenziali su questo o quell’atteggiamento contemporaneo di questa o quella civiltà, di questo o quel sesso. Quel che ne esce male è nel complesso la figura del giovane essere umano contemporaneo, impossibilitato (o forse ormai nel dna convinto dell’ essere impossibile) a creare nuove speranze e quindi piegato a invecchiare rinnovando usi e costumi di volta in volta venuti alla moda. Bisognerebbe essere marziani forse, come suggerisce il titolo dell’opera, ma per ora si sa, nessuna concreta forma di vita o di idea è ancora provenuta dall’intera galassia ed allora forse servirebbe una più forte autocritica ed una più sicura voglia di cambiare lo stato delle cose avendo come punto fermo il fatto che la cultura, il sapere sono strumenti per consoni metodi di agire e non certo delle tavole della legge e soprattutto che la forme di comunicazione di massa, dalla televisione alle guide turistiche obbediscono ormai a logiche industriali che se ne fottono della libertà, dell’uguaglianza e del sentimento.

E’ stato con una certa gioia che mi sono apprestato a leggere il nuovo romanzo di Claudio Morici, romano del 1972, ex psicologo, autore di un testo come “Actarus. La vera di storia di un pilota robot” che in assoluto è stato uno dei più belli e convincenti romanzi generazionali da me conosciuti in questo nuovo secolo e che con mia grande soddisfazione aveva avuto un insperato successo commerciale, considerando che sia l’autore che la casa editrice non facevano certo parte del cosiddetto mainstream massmediatico. Eppure il romanzo meritò addirittura la ristampa in economica, la prima in assoluto per i tipi di “Meridiano Zero”. Una voce autonoma ed interessante nel panorama letterario italiano. 

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