Quando il calcio non è solo delirio. Quando anche i goal della propria squadra sono clamorose autoreti. Quando la vittoria pè una sconfitta di tutti, non solo dei propri beniamini. All’arrivo
della terza preoccupata lettera del suo lontano amico argentino,
Domenico che oramai chiamano tutti Domingo per le sue origini
sudamericane, comincia ad essere preoccupato. La compagna Radka, di
origine ceche, comincia a chiedere cosa succede al suo compagno,
lavoratore ma anche perditempo, calciofilo ma anche comprensivo e
fedele. Quegli sguardi tristi e quell’aria mesta non la convincono.
Certo, seguirlo alla scoperta delle sue antiche radici italiane in
uno sperduto ed appenninico insediamento della Lucania sapeva già
non sarebbe stato facile, ma c’è l’amore e la radio che
sintonizza su frequenze che portano tra qualche gracidio e qualche
tetra notizia, sapori ed odori del suo lontano e chiuso paese,
dominato dalla intransigenza filo sovietica.
Domingo però non pensa
solo alla sua Argentina dove Peron è stato schiacciato e distrutto
dalla dittatura militare, ma anche al calcio, ai suoi sogni giovanili
di gloria sportiva e al mondiale appena vinto con qualche evidente
favore arbitrale. Oppure fa per andarsene al mare nella bella
stagione, sulla cinquecento di cui va fiero, che è costata molto ed
è stata oggetto di qualche invidia. La vita del paese dei suoi avi
intanto continua, fra piccole beghe tipiche di comunità così
piccole, le novità che ogni tanto filtrano dalle strade di montagna,
il chiodo fisso del football e quel senso di disagio a sapere che da
dove è venuto si ammazza la gente dalla sera alla mattina, anzi,
peggio, vengono prelevati e scompaiono per sempre.
Amaro,
ma brioso. Rassegnato ma a suo modo intenso e passionale.
Circoscritto e confinato, ma arioso, universale, fuori dagli schemi
delle grandi città. Senza alcun appesantimento di marca
antropologica o di analisi socio politica, un breve romanzo che
fotografa alcuni istanti di una vita normale, ma scossa dai grandi e
tragici avvenimenti dei propri paesi natii, l’Argentina truce e
violenta dei generali e la Cecoslovacchia comunista. Un umorismo
amaro, volto più che altro ad esorcizzare mali oramai conclamati e
purtroppo passati alla storia. Non esteticamente felici alcune
scelte, come quella di lasciare in dialetto indigeno i nomignoli
degli abitanti del borgo lucano, un espediente mimetico che appare
assolutamente inutile alla caratterizzazione e localizzazione della
vicenda narrata. Ma tra scampagnate, piccoli e grandi drammi
quotidiani, espedienti e fatiche, una storia che si dipana con
leggerezza ma non per questo risulta superficiale o peggio banale e
ripetitiva. Nonostante i salti temporali, che si presentano nel corso
della narrazione, la brevità dei capitoli e la limpida semplicità
delle vicende raccontante rendono questo romanzo quasi un album
fotografico su tempi andati, non senza lasciare un messaggio sulla
crudeltà e la miseria di alcuni uomini. Calcio come metafora, sogno e realtà, con quel mondiale del 1978 consegnato in mano alla nazionale Argentina in maniera quantomeno rocambolesca (i non esperti non sanno di un fantascientifico 6-0 al Perù per andare in semifinale), di fatto sancendo la legittimità politica del governo militare ovvero dittatura che decimò una generazione con l'eccidio dei cosiddetti desapericidos, finendo anche per dichiarare guerra alla Gran Bretagna coll'incredibile e cruento incidente delle isole Falklands.
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