14 febbraio 2019

Metà di un sole giallo (Chimamanda Ngozi Adele)

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Ve le ricordate le tremende foto dei bambini denutriti del Biafra? Quelli come
me nati nel 1970 e dintorni di sicuro. Si diceva “mangia di più che sei messo male come quelli lì, sei secco come uno del Biafra”. L’innocenza dell’infanzia, Perché succedeva davvero. Con l'inquietante beneplacito dell'Onu e di tutti gli organismi preposti alla pace nel mondo, allora ed ora, alla luce di quel che ancora succede. Con l'allegro e macabro disinteresse della cultura social e multimediale Eccoci allora. Nigeria, anni sessanta dello scorso secolo. 
Chi  può scappa, chi non, resta. E chi ha guadagnato, continua. Chi non continua, non ha mai guadagnato.  Nemmeno per mangiare. 
Sebbene ancora politicamente dipendenti ed economicamente colonizzati, i nativi del paese invece di rivolgere forza, attenzioni e pressioni verso la Gran Bretagna, padre padrone, pensano bene che sia il caso di litigare fra di loro, decidere quale etnia debba avere il sopravvento per il governo di un paese apparentemente libero ed indipendente, ma che tale non è. Con sullo sfondo questo contesto storico fra i mille dimenticati della tanto decantata e depredata Africa, quattro protagonisti, tre indigeni ma inglesizzati e l’anglosassone Richard, ormai assimilato, portano avanti le loro vite i loro rapporti, con le proprie contraddizioni interiori e quelle di una politica che non si capisce. O meglio, si capisce benissimo. In pratica gli Igbo, che avevano provato un colpo di Stato accusando malgoverno, dichiarano indipendenza dalla Federazione nigeriana ( etnie diverse, in particolare Yoruba e Hausa). Da lì la catastrofe.

Un poco discontinuo come tono e ritmo, ma molto africano, molto indigeno, almeno per un europeo come me, permeato di sensi, rancori ed odori che appartengono alla storia di paesi lontani eppur e così presenti nelle nostre vite bianche. E non vengono lesinate critiche e sarcasmi, sebbene mi pare chiaro una posizione di sostanziale panfemminismo a tutto campo, sebbene mutuato e mediato, dove i due uomini protagonisti (il velleitario scrittore e inglese Richard, il promiscuo e sanguigno professor Odenigbo) sono sì forza e idee, ma anche sconclusioni e debolezza, mentre le due gemelle Olianna e Kainene, inglesizzate, benestanti ma non per questo disimpegnate, nel bene e nel male, per certi versi distanti ed antitetiche, assurgono ad un ben piena presa di coscienza e capacità vitale. Con le dovute precauzioni del caso, veri maschi alpha, loro due.

Non solo l’Africa è stata sfruttata e dimenticata ma spesso ne misconosciamo anche le recenti traversie spesso fomentate dagli stessi paesi che ne hanno millantato la decolonizzazione e la piena autonomia. Quando il romanzo finisce quando siamo al culmine di quello che diverrà un dramma umanitario di proporzioni bibliche, ovvero il trionfo della Nigeria, aiutata dal resto del mondo più o meno, sulla conterranea e ribelle repubblica del Biafra. Ovviamente di mezzo c’è il petrolio ed altre mille rivoli delle politiche mondiali sui paesi africani. Un dramma nazionale che causerà migliaia di vittime innocenti.  Affamandoli. Con la complicità del mondo. Belle le caratteri dei personaggi seppure con gli indirizzi sessisti che ho detto, a volte un po’ troppo inutili indugi sul dipanare la trama, quasi che ci si voglia soffermare per non andare di fretta. E mi rimarrà sempre nella mente come se lo avessi sentito direttamente io il biafrano Ugwu, ragazzo che a suo modo chiamando sempre e solo Padrone l’uomo (nero) per cui lavora denuncia una condizione ed uno status mentale che fa venire i brividi.




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