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Una
terra isolata, a suo modo sospesa tra la magia e l’oblio, la
capitale Reykjavik è lontana e Sydney molto, ma molto di più,
racconta l’autore. Lirismi mai
ammorbanti e ritratti carveriani ma in salsa nordeuropea inun villaggio che non
arriva a quattrocento anime. Ma i cuori pulsano, le anime vibrano, la
gente parla.
Siamo
in un posto dove fa notizia persino se arriva una cartolina
illustrata dal continente, dove non dovrebbe succedere mai niente mentre invece accadono cose che vengono poi chiacchierate e ricordate
per sempre dalla comunità, come fossero patrimonio di tutti.
Nessuno
infatti dimentica la storia dell’Astronomo, uno che possedeva
tutto e di più in quelle remote lande islandesi, compresa la moglie
più concupita della zona ed è stato capace di mollare
volontariamente tutto per farsi recapitare misteriosi libri in latino
per poi cominciare a filosofeggiare sui misteri dell’universo, come
se fosse facile di già affrontare la vita quotidiana.
E
si parlotta ancora senza sosta, nelle sere gelate del lunghissimo
inverno dell’amore boccaccesco e sconfinato che nacque fra Kjartan
e la sua vicina di fattoria.
Come nessuno scorda la terribile
vendetta della moglie di lui che appare leggendaria e di monito a
qualunque marito abbia tentazioni extra matrimoniali.
Nel
mentre ci si interroga ammirati su quale rotella sia andata fuori
posto o sia stata strangolata dal freddo al giovane Jonas, che dalla
vita non chiede altro che poter dipingere stormi di uccelli su sfondi
magici, su qualunque parete o spazio gli si metta a disposizione. E
si ride, nelle serate a base di vodka e confidenze sulle paure dei due
magazzinieri che sentono fantasmi lì nei locali di deposito dello
spaccio e si discute sulla procace bellezza della intraprendente e scoppiettante Elisabeth, che ovviamente è stata catapultata in quel posto ed intende stravolgerlo.
“E
che spazio c’è tra la vita e la morte, se c’è ne è uno, e
allora come si chiama? Lo si misura in chilometri o in pensieri, e
c’è chi riesce a transitare dall’una all’altra- avanti o poi
indietro?”
E
così ci immergiamo in una Storia delle storie, l’ineffabile
quotidiano della vita di ciascuno di noi. Uno stile nuovo ed efficace
quello di Stefansson, che denota doti liriche non indifferenti e
mostra che il suo passato di poeta non è marcito, anzi vive e
solidifica la sua prosa a volte quasi carveriana nel suo minimalismo
mai retorico e così vivo. Il tutto con improvvisi strali (anzi veri
e propri colpi d’ascia) contro la globalizzazione e i partiti di
governo islandesi e il resto dell’umanità che vive sì in grandi
città ma è sempre più piccola e sola.
Una
voce nuova, dove il fuoco arde sotto il ghiaccio, una natura che solo
l’asfittico può definire ostile e tanta, vera e a volte eccessiva
umanità che come sappiamo tanto perfetta non lo è. Ma proprio no.
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