23 febbraio 2019

L'ultima volta che siamo stati bambini (Fabio Bartolomei)

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Cercare se stessi? E chi l’ha detto che sia poi utile questo trovarsi? Forse era meglio
morire da piccoli. Nel senso che non bisognerebbe crescere, che poi arrivano tante fregature, ci si arrugginisce a vista d’occhio, cresce la pancia, spopolano le rughe, quelle sul viso e sul collo e , lo sapete, anche quelle sul cuore. Per non parlare delle ferite dell’animo. Il mondo salvato dai bambini? Certo perché no. In fondo i grandi di danni ne hanno fatti abbastanza, credo, e continueranno imperterriti a farli.
Guidati da Italo, vestito da inappuntabile balilla, Cosimo e Viola (sì, guarda un po' i protagonisti del celeberrimo romanzo di Italo Calvino, Il barone rampante) continuano questa forzata marcia a piedi per andare a salvare Riccardo, lungo I binari del treno dove sanno che i tedeschi lo hanno messo e portato via. D’altronde era colpa dei genitori se era ebreo, non sua e non merita questo, devono spiegare questa faccenda e farlo uscire dal campo dove è rinchiuso. Sono due giorni che i tre, compagni di giochi, hanno deciso di mettere a repentaglio la loro infanzia e sfidare le punizioni per recuperare il quarto componente della banda e tornare a scorrazzare nel cortile. Certo, i rimorsi sono tanti ed i morsi della fame cominciano a farsi sentire, ma lì fuori è tutto così bello. I rumori del bosco, i colori della natura, gli incontri a volte pericolosi, il desiderio di riabbracciare quel loro amico. Al diavolo le feroci repressioni del nonno di Cosimo o i probabili rimbrotti che Vanda subirà all’orfanotrofio. A loro insaputa sulle loro tracce c’è la improvvisata coppia formata dal fratello di Italo, Vittorio, soldato fascista in congedo per una ferita alla gamba ed insignito di una medaglia al valore e suor Agnese, che stravede per la sua piccola orfana. Anche per loro è dura, inscenano un dialogo fra sordi, si improvvisano cacciatori ma a quanto pare le loro prede sono indomite e dopo 48 ore ancora non si vedono.

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Torna Fabio Bartolomei, autore del riuscito romanzo We are family, con un’opera ancora una volta incentrata su dei bambini. Anche qui la dote dell’autore di riuscire a narrare il mondo visto dai più giovani rivela una notevole capacità mimetica ed introspettiva davvero rara. Certo, qui mancano le trovate funamboliche e spiazzanti di precedenti opere, come anche certi delicati approfondimenti psicologici e relazionali, forse anche per la rilevanza più ampia che assume il contesto, dato che ci troviamo nell’Italia del 1943, divisa in due, occupata dai nazisti ed in preda a duna crisi economica e politica dalla portata disastrosa. Proprio la capacità dei piccoli protagonisti di dissolvere intricate matasse di problemi pratici con una corsa a perdifiato annichiliscono la tragedia incombente. Anche se, come si sa, là fuori è comunque un mondo difficile e la acclarata imperizia e crudeltà degli adulti combina guai anche dove non ce ne bisogno. Resta comunque una prova interlocutoria questo romanzo, capace di donare momenti di pensieroso svago anche se a volte appare un poco legnoso e didascalico, irretendo quella innata magia che solo i non adulti possono regalare. Questo specie nel meccanico contrasto a capitoli alternati, con gli altri due protagonisti, grandi e pensierosi, divisi da differenze abissali, l’uno militaresco e offuscato dall’ideologia e l’altra talmente credente al soprannaturale che a volte non crede a se stessa. Io vorrei che l’autore ci scriva ancora un’altra cosa, magari meno “sistemata”. E’ bravo e quindi. A proposito sto per andare dal mio bimbo e non ditegli che non mi è piaciuto Giulietta 1300 ed altri miracoli. Né il romanzo, né il film. Di Bartolomei insomma suggerirò altro.

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