26 aprile 2017

Augustus (John Edward Wiliams)

Si può immolare la propria vita e quella di molti moltissimi altri in nome di un’idea, anzi un ideale? E siamo davvero sicuri che la comune brama di successo e potere, il coronamento della propria esistenza con il titolo di imperatore non abbia i suoi lati negativi?
Eccolo,  chiedetelo all’Ottaviano Augusto, un uomo comune con una vita straordinaria anche grazie al suo talento politico, di questo romanzo, meno filosofico dell’Adriano dello Yourcenar ma decisamente più terreno e a suo modo fragile della figura mitica che i suoi agiografi hanno voluto tramandare ai posteri.


Meno filosofico dell’altro romanzo citato ma ugualmente denso, meta riflessivo, dove il contingente a volte viene assurto come paradigma dell’eterno ed universale. Non v’è traccia apparentemente dello Williams di Stoner. Scritto in forma epistolare-diaristica, emergono figure ben tratteggiate, come una delle mogli di Ottaviano, Giulia, o la cerchia dei suoi amici-collaboratori più stretti. Il tutto con sullo sfondo le vicende della Roma post-repubblicana e neo-imperiale. Trame, scontri, vittorie, sconfitte. Ma anche amore, ragion di stato, amicizia, odio. Anche qui  c’è la lucida consapevolezza dei propri limiti ma anche quella tenace, testarda determinazione a portare a termine, costi quel che costi, quel che si ritiene la propria missione terrena o, se si preferisce, a realizzare quello che la mente ed il cuore ci suggeriscono.
E come non si può concordare con Ottaviano, quando nell’ appassionato ed appassionante bilancio di una vita ricca di gloria ma tormentata da dubbi e funestata da orrori ed errori, arriva a dire: “Forse avevi ragione tu,mio caro Nicolao. Forse esiste un solo dio.  Ma se questo è vero, gli hai dato un nome sbagliato. Il suo nome è Caso, il suo sacerdote è l’uomo, e la sola vittima del sacerdote deve essere lui stesso, il suo povero Io combattuto”.
Come dice lo stesso autore, il romanzo è da intendersi storico in senso lato, diverse arbitrarie modifiche di date e personaggi sono a cura della fantasia dell’autore. Ma il tutto appare verisimile, compatto e completo. Forse, ma non so se sia un problema di traduzione, a tratti si trova una verbosità che ritenevo estranea a Williams.

Resta un mistero come un autore di questo spessore sia stato alla fine quasi ignorato dai contemporanei per poi mostrarsi nella sua incisiva capacità narrativa decenni più tardi. Misteri della letteratura.

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