22 settembre 2024

La stagione delle prugne (Patrice Nganang)

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"Quella guerra era stato un vero catalizzatore di incontri mancati. Intanto, fuori, pioveva sempre meno. La pioggia, a Yaoundé, è fatta così: violenta e breve" .E già, una pioggia. Ma con grandine di bombe  e tuoni di cannoni, che hanno allagato il mondo intero, lasciando morti ammazzati, militari e civili. Parliamo della seconda guerra mondiale, quella considerata più brutta, sporca e cattiva delle altre e che ha devastato praticamente gran parte del globo fra il 1939 ed il 1945. Questo vale anche per il Camerun, al centro dell'Africa, curiosamente prima colonia tedesca e poi francese, rimanendo ancora legato ai primi mentre i secondi ne sono stati appena invasi e distrutti nella lontana, lontanissima, quasi irraggiungibile Europa. I nazisti sono a  Parigi e sembrano invincibili, anche nel cuore dell'Africa, in un villaggio ricco di vita quanto povero di bellicosità. 

Comunque il conflitto arriva anche lì. E benché lontani dalla europeizzante Yaoundé, agli albori del 1940 Um Nyobe, uno sempre informato su tutto e non a caso indovino di Edéa, comunica ai compaesani,  che  senza ombra di dubbio Hitler è morto suicida, nel suo bagno. E quindi la minaccia è scampata. Pouka, suo figlio, nonché poeta, da una parte si rallegra, potrà dare vita al suo cenacolo dedicato alla poesia, dall'altro è perplesso. Più che altro per l'arrivo di Leclerc ed una variegata "armata" molto brancaleonesca. Egli si autoproclama capo in pectore delle truppe di liberazione francesi ed ha un solo fine: squalificare il vecchio stregone indigeno, mettere fine alla poesia e al cenacolo di Pouka e dare vita al contingente camerunense del suo sparuto manipolo di soldati. Cosa vorranno, tutti si chiedono. Liberazione? Da cosa esattamente. O da chi, sarebbe meglio. Ecco l'interessante canovaccio di Patrice Nganang, la vera storia (o se preferite la storia africana) della marcia vittoriosa del contingente africano antinazifascista, comprensivo di camerunensi, contro la coalizione di Francia golpista, tedeschi e italiani, per la vittoria finale. Ma è difficile per i nativi del centro Africa avere tutti questi nemici. Loro sono abituati a litigare e poi a fare pace per una donna, un pezzo di terreno, un animale. La loro vita, lontana dai clamori cittadini della capitale, è andare avanti cercando di soddisfare i desideri più semplici, in primis il sesso, ma non solo.  Mentre i vecchi ed odiati militari che li  "amministravano", ora li spronano alla guerra. E' proprio un pazzo mondo, ma la vita continua. E tra avventure picaresche se non donchisciottesche l'escamotage dell'autore si svela. Una convincente e fieramente etnica vicenda volta a proporre spunti di riflessione sulle violente divisioni che dilaniano il Camerun attuale alla luce sui quello che accadde nel 1940 ed anni precedenti e seguenti. Stile vibrante e polemico, inframezzato da scene di sapore rustico e da commedia dell'arte, dove quasi fuoriescono dalle pagine sangue, violenza ed amore come solo la guerra sa fare ed un’unica impellente e forte domanda: ma i camerunensi morti negli anni della vicenda sono deceduti per liberare il proprio villaggio o addirittura la nazione oppure semplicemente per aiutare a far tornare francese la lontanissima Parigi? E poi cosa è il Camerun, se non una delle solite invenzioni a tavolino post seconda guerra mondiale?

"Si riunivano in mezzo a quel crogiolo di lingue, quella babele di idiomi incomprensibili, uniti dalla loro parlata comune". Secondo Wikipedia sono più di duecento ceppi linguistici bantu che si parlano in questa nazione. Credo possa bastare. E quindi la risposta è semplice, ma le domande poste dall’ ‘autore implicano la crudele ed ineluttabile legge della realpolitik occidentale. Detto che questo è il messaggio ricorrente e neanche sotteso, si apprezzano i personaggi della storia, europeizzati abbastanza in maniera sapiente da non svilirli e svellerli dal loro essere camerunense. Sono dei tipi, ma inseriti in uno scontro è frontale contro l'Occidente, in maniera più aggressiva di un altro bel romanzo di un'altra nazione limitrofa e martoriata come la Nigeria di Metà di un sole giallo. A volte dunque forse risulta invadente l’autore, che non nasconde i fini di denuncia, quasi un cahier de doleance documentato. Ma gli si perdona, perché non è uno qualunque. Nganang è sì docente negli Usa, ma esule dal Camerun, nazione dove è stato condannato al carcere. E dal vivo è assolutamente magnetico. Con piglio deciso, quasi fosse venuto a miracol mostrare, inveisce, attacca, analizza il suo paese, la retorica occidentale sul razzismo e la schiavitù degli africani mascherata da aiuti per lo sviluppo. Visto alla kermesse romana dell’editoria indipendente Più libri più liberi nel 2018, in cui con meno di mezzora mi ha conquistato, noncurante dell’interprete e della scaletta. L'ho poi re-incontrato da lontano al Festival della Letteratura di Mantova, dove torreggiava su una loggia di Palazzo ducale con il suo vestito regale colorato e splendente come il cuore della sua terra martoriata a tavolino come fosse il campo di gioco di un Risiko che di ludico ha ben poco.

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