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A volte si fa buio, nelle notti
dell'anima, e puoi accendere le candele del sarcasmo oppure dell'odio, puoi
sperperare iridescenti fiammiferi di speranze, tentando con vigore e tenace
determinazione di illuminare spazi di comprensione oltremodo oscurati.
Quando il cuore si ribella.
Quando si instaura quella
particolare cecità che permette di disintegrare il buio, che fa luce su ogni
angolo oscuro.
Quando il cieco dolore
solamente ammantato di ironia piega e spezza ogni debole ipocrisia, quando la
rabbia viene stappata dalla bottiglia del dolore e fuoriesce, senza freni o
inibizioni di sorta e nessun bicchiere di pazienza per quanto capiente può raccoglierla
per intero.
Tutto questo accade quando un torrente di malinconia decide di arrivare al mare
delle conclusioni per quanto disperate ed indesiderate esse siano.
Germania, anni sessanta, Bonn.
Mentre i nefasti rigurgiti, cupi e senz'appello, della costruzione del muro si
allungano come ombre su una intera generazione, Hans Schnier, che si
definisce clown e che fa collezioni di attimi, che soffre di mal di testa e di
malinconia e soprattutto ha il masochistico dono di riuscire a riconoscere gli
odori dell'interlocutore attraverso la cornetta del telefono, in tre ore mette
alla frusta la sua giovane esistenza.
Infortunatosi sul lavoro, abbandonato dalla convivente, trova forza e coraggio
in cognac e rapidi dardeggiamenti intinti nell'odio e nello sprezzo.
La compiacenza ipocrita, il sentimentalismo volto alla ricomposizione forzata,
il gesto di laida amicizia teso solo a propinare il violento seme della
sconfitta non attecchiranno nell'animo esacerbato di un pagliaccio che non
vuole più ridere e soprattutto non vuol più donare il sorriso.
Provateci voi.
Orsù, annegare nella disperazione per un amore finito è forse non saggio ma
quantomai umano e vissuto da ognuno di noi.
Il provare a raggiungere e a raggiungersi, a difendere costi quel che costi la
propria aspirazione a vivere senza compromessi a volte può sembrare un poco
lucido impeto giovanile e travolti dall'inevitabile, finiamo sempre per scender
a patti con qualcuno, con qualcosa, magari ci accordiamo con sordido rancore
con i nostri anni che passano, con i nostri affetti che si infreddoliscono, con
le nostre emozioni che si isteriliscono.
Ma se siamo ancora vivi ci emozioniamo e conviviamo con la rabbia di Hans
perché in fondo speriamo che lui ce la faccia, che le sue irriverenti
incontinenze verbali urlate in faccia al mondo algidamente perbenista che gli
ha fatto terra bruciata attorno, che i suoi gesti simili spesso ad
adolescenziali epitaffi ebbene invece portino ad un qualunque sbocco, ad un
brandello di rivincita, ad una briciola di vittoria, in questo suo viaggio a
ritroso condotto attraverso uno strumento ostile come il telefono ma umanizzato
dagli odori carpiti dal sensibile naso di Hans, che prova a chiedere spiegazioni
a chiunque per la improvvisa dipartita della debole e amata Maria.
Il clown è un artista, ma non
si crogiuola nell'arte.
Il clown è un'artista ma non un attore, non recita e non vuole recitare.
Clowneggia, si mette a nudo, seguendo l'ispirazione.
Un personaggio che risulta un malizioso e arditamente sadico espediente, dove rabbia
e ribellione prendono la fisionomia di un artigiano del divertimento, di colui
che dona il sorriso.
Siamo della stessa sostanza dei sogni, diceva Shakespeare e
quando tutto assomiglia malvagiamente ad un incubo ci affidiamo alle benefiche
seppur letterarie acrobazie di un clown tutto impeto e risentimento, ma anche
umana pietas, desolazione, mancanza di affetto, appigli per non
precipitare, anche se lui con forza e vigoria quasi fisica rivendica la sua
essenza di clown, "non sono un'acrobata e non cadrò mai".
Nel mondo dove vive Hans, come i tanti mondi che l'hanno preceduto e lo
seguiranno, ci sono tentacolari e secolari morse che impediscono qualsiasi
respiro libero, qualsiasi anelito che seppur detesti stonare e non ricerchi
l'assolo, vuole solo cantare fuori dal coro.
I suoi sordidi nemici?
La religione come muro, sia di matrice protestante che cattolica, come
imprescindibile specchio del giusto e dello sbagliato, del dare e dell'avere.
Un paese, la Germania, che ricompone i cocci cercando solo l'oblio, assolvendo
colpevoli dimenticando innocenti.
Insomma un mondo poco iperbolico e molto superficiale, quasi meccanico, nelle
sue leggi lucidamente e spietatamente benpensanti, adottate da personalità
sprovvedute solo emotivamente, nei loro buonismi di facciata, nelle loro
dissimulazioni interiori.
E così, quasi per un
contrappasso neanche troppo metaforico, il clown diventa un carnefice
logorroico o comunque verbale, ma spassionatamente umano e vero anche nelle sue
paure e lo spettacolo è degli altri, del resto del mondo, che si mostrano
in tutta la loro pagliacceria oppure cercano disperate evoluzioni come acrobati
su un filo proteso verso il nulla e gettato oltre l'abisso della menzogna e
della meschinità.
Un personaggio istrionico ma non istrione, tetro ed arrabbiato, feroce, a volte
aprioristicamente crudele, eppure solamente innamorato. Sarcasticamente cinico,
senza peli sulla lingua ma con crampi nello stomaco, vermi nel cuore, dissapori
forti e stringenti che avvinghiano gli intestini.
Personaggio problematico e problematizzante, l'Hans di Böll rivela
adolescenziali debolezze, piccole tenerezze di variegata importanza, docili
puerilità come l'attrazione e la repulsione verso l'amore fisico, chiamato
pudicamente "la cosa" quasi a significare un azione e una tensione
diversi ed altrove dalla pura contiguità spirituale con l'essere di sesso
opposto.
Una storia drammatica ma oltremodo tenera e sentimentale nella accezione meno
deleteria e sdolcinata del temine, tenuta assieme da un sarcasmo feroce ed
irriverente verso un mondo germanico abbarbicato e fuso nei dissidi fra chiesa
romana e protestante, fra socialdemocratici e cristiano democratici che seppur
con vaghe simpatie sinistrorse, l'Hans sembra accomunare sotto il vessillo
dell'ipocrisia, accecato dalle sue ferite morali prima che dal suo dolore
fisico.
Ma seppur nel dipanamento e nel fitto lancio di strali da parte di questo
arciere solo e sconfitto sono evidenti le tracce di debolezza, impotenza,
sconfitta, l'uomo Hans alla fine, seppur anarchicamente allergico alla
struttura sociale ed emotiva che lo circonda, saprà volgere e innalzare la
propria dignità di uomo, poiché non si deve mai smettere di combattere e
sperare, e le sconfitte sono preziosi tranci di quella corazza che ci può
proteggere dalle insidiose lance acuminate della stoltezza e insensatezza del mondo.
Uno dei capolavori di Heinrich Böll , Opinioni di un
clown (1963), nelle sue spigolose e poco architettate durezze, nelle
sue sofferte digressioni narrative mostra al mondo le innate qualità di questo
appartato ma non silenzioso scrittore tedesco, armato di aggressiva ironia e di
sguardo poco incline alla compassione, premio Nobel ed autore di capolavori
magistrali quali "Foto di gruppo con signora" e "Biliardo
alle nove mezzo", oltre che di "Il treno era in orario".
Un romanzo dove la scrittura senza indulgenze sulla società germanica trova
forza e coraggio dall'animosità e dalla passione del protagonista, colpevole
solamente di amare la vita e di voler vivere cercando la liberazione dalla
schiavitù dalle convenzioni sociali imperanti ed imperative e dalle convinzioni
dittatoriali che non ammettono repliche o dilazioni ma solo rassegnata
accettazione.
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