04 novembre 2024

L'arminuta (Donatella di Pietrantonio)

“Nel tempo ho perso anche quell’idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. "

A  volte ritornano. Ma è una ritornare alle origini che diventa sequela interminabile di giorni dell’abbandono, accendendo un fuoco, la necessità di una rivoluzione a quella vita da arminuta, ovvero, traducendo il termine dialettale abruzzese, la ritornata.
"Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo più da chi provenivo" 
Una sorta di sliding doors, ma niente ambientazioni d'oltreoceano bensì appunto un verisimile Abbruzzo, tra mari e monti
Torto, ragione. Paure, emozioni sentimenti. E turbe indecisioni folle sterminate di ansie e timori. Perché sì, è la famiglia naturale, ma lei è stata adottata a pochi giorni. Non è facile  I fratelli, al massimo sono amici e neanche tanto in amicizia, di mamma non parliamo, la ritornata è intontita e forestiera, non riesce proprio a capire come quella zotica sia la sua procreatrice naturale quantomeno ostica se non impossibile. Cosa ha fatto di male una bambina per tornare dove non è mai stata. Apparentemente senza motivi, depredata di ogni affetto consolidato, di ogni ingenua certezza? Dalle stelle alla stalle, quasi in senso letterale. Dagli agi, moderati ma sicuri, alla quasi fame, alla rudezza, all'estraneità dopo aver apprezzato il calore di un nido confortevole.  Ma non sarà facile dimenticare i genitori adottivi, anche se le sorprese sono dietro l'angolo, le insidie praticamente si respirano e sarà tutto un vorticoso scardinamento e istinto di sopravvivenza.  Meno male che la piccola Adriana almeno pare nella sua gracile piccola età esserle vicino.
"-Io forse parlo in piu' troppo, certe volte,- ha ammesso animando per la salita.
-Non hai colpa se dici la verità. È la verità che è sbagliata."
Una saga che sega le più naturali pulsioni emotive, l'amor materno e quello filiale, con un finale che può condannare alla perdizione o avviare alla definitiva libertà, dove tutto si capovolge, i già oscillanti punti cardinali ruotano e indirizzano inevitabilmente verso nuove rotte vitali e terre inesplorate.
E poi un presente in cui non si ritrova ma che è la sua origine, scottata da un passato che credeva suo ma invece deciso a tavolino ed impaurita da uno di quei futuri che non sembrano tali, incapaci di dare luce né tantomeno  dare senso di scorrere, inghiottono tutto nel quotidiano, quasi condannandoti a ad non avere che la certezza del nulla da sperare. 
Parole non dette, oppure urlate, oppure scagliate con forza ad inseguire verità o a dileguare bugie. E ancora illusioni, disillusioni, una vita spesso da sorseggiare come fosse un caffè senza zucchero. Cioè a suo modo eccitante ma amata. Senza mai dolcezza anche quando intorno non ci deve essere per forza crudeltà ma solo durezza oppure una asfittica ed asfissiante constatazione dei fatti. Scritto bene con delle impennate di lucida prosa sorprendenti e coinvolgenti, l'opera che decretò la fama della Di Pietrantonio è una buona storia con,  per me sia chiaro, una grande pecca; mi ha ricordato più volte e in maniera intensa Accabadora della Murgia che eppure avevo letto diversi anni prima. Paesaggi remoti e ancestrali, rapporti famigliari illividiti, induriti dalla vita oppure apparentemente leali e franchi ma con una sottile patina sottile ma tossica di malinconia o di infelicità. Certo il nucleo della trama non è  originalissimo e i topoi fanno parte della nostra tradizione letteraria. La differenza la fa lo stile, come è giusto che sia in letteratura. Con ritmo compassato ma mai impaludato, essenziale ma non asciutto, mai morboso o glamour , educato anche nella sporcizia, nel dolore, nelle pulsioni sessuali. Una scrittura apparentemente placida ma che si avvale di rapide descrizioni e tratteggiamenti incisivi come rapide rasoiate. Bello il finale  secco e diretto, ben costruito, speranzoso ma spiazzante. L'autrice da qui in poi è stato il caso letterario per eccellenza, con incetta di premi e  riconoscimenti (anche l'omonimo film prese un Donatello per la sceneggiatura non originale) , per una scrittrice non di professione, venuta alla ribalta a quasi cinquant'anni dopo aver svolto un mestiere che con lo scrivere c'entra p0co: il dentista.  E diciamocelo, lei incarna il sogno di milioni di italiani, il manoscritto nel cassetto che poi vince il premio Strega, autorizzando i sogni più proibiti per un popolo di autori privo di un numero adeguato di lettori. Perché questa è la nostra storia e lo scrivere è la più democratica attività italiota. Quando poi a ben scavare, più che anarchia e fertilità creativa, troviamo dietro una serie di narcisisti non dichiarati pronti ad essere divorati da un apparato che si nutre di questi avidi sogni di gloria.

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