Perché tutti alla fine, siamo stati un po' Stoner, oppure stonati, tutti a lungo, per un attimo o magari tutta l'esistenza. E solo seguendo passo passo le sue vicende capiamo che sì certe volte ne è valsa la pena, altre no.
25 ottobre 2013
Stoner (John Edward Williams)
Diventa grigia l'aria, il colore dei mobili, si ingrigiscono i pensieri, le paure ed altri sentimenti vari ed eventuali. Non c'è spazio, per altri colori, pare. Lui lo sa, combatte, vince, perde, insomma, diciamocelo, VIVE. Tutto nell'ambito variegato, multiforme e al di là del velo squarciato, sorprendente che oscura la sua vita e quella degli altri.
Perché tutti alla fine, siamo stati un po' Stoner, oppure stonati, tutti a lungo, per un attimo o magari tutta l'esistenza. E solo seguendo passo passo le sue vicende capiamo che sì certe volte ne è valsa la pena, altre no.
Perché tutti alla fine, siamo stati un po' Stoner, oppure stonati, tutti a lungo, per un attimo o magari tutta l'esistenza. E solo seguendo passo passo le sue vicende capiamo che sì certe volte ne è valsa la pena, altre no.
09 ottobre 2013
Actarus (Claudio Morici)
Sapevo che prima o poi avrei fatto i conti con Actarus. Era inevitabile. Un segno del destino, un incontro segnato da quei pomeriggi davanti alla tivù a metà anni settanta, quando ancora nell’etere c’erano solo due canali Rai. Sapevo anche che avrei dovuto rimettere in discussione tutto. Se veramente il male di Vega fosse così cinicamente "male" oppure alla fine nasconde un po’ di bene. Se tutto il bene che Goldrake ad ogni azione vincente riesce a far trionfare in realtà non possa ammuffire e rivelare la sua intima e tossica sostanza. Sapevo anche che Fleed, con l’andare degli anni, sarebbe diventata più costosa, più lontana, più diversa, più sogno e meno realtà. Sapevo un sacco di cose e non ho saputo evitarle. A volte, magari in compagnia di una Peroni, riesco a malapena ad accettarle. "Distruggi il male, va" Questo romanzo però non è un trattato di filosofia goldrakiana. E nemmeno un uforobotico scandagliamento dell’adolescenza. Questo romanzo parla dannatamente al cuore di una generazione che, alla sua età, comincia a capire che Fleed è lontana, troppo lontana e forse non ci farà mai ritorno. Perché forse addirittura non esiste, non è mai esistita. E’ un gaio, scanzonato ma amaro e veritiero rutto low cost dopo una anarchica e velleitaria presa di coscienza delle storture, delle divisioni, delle ormai imbattibili falsità emotivo-esistenziali che fanno da fondamento all’attuale società contemporanea, sradicata dal pensiero ed ammorbata dalla serialità e dallo straniamento e cullata nella bambagia dell’omologazione a tutti costi. Anche se in questo racconto si parla del 2070 ed oltre. Anche se come protagonista c’è il “nostro” Actarus. Tante volte ancora oggi mi sento Actarus. Il mio capo aziendale mi ha rimbambito di banali ovvietà volte a farmi produrre, la mia vita sembra un reality show, gli amici dei miei amici non mi piacciono ed ho bisogno di un amore che sappia cullare i miei sogni. Per i partoriti negli anni settanta e dintorni, il nome di Goldrake e le parole della sua irresistibile sigla restano,ad oggi, un ricordo indelebile e sicuramente strappano un tenero e malinconico sospiro più o meno adulto ricordando la propria infanzia o adolescenza. Su questa dimensione pura e quasi elegiaca si prende atto che insieme alle nostre barbe ormai mature, alle eventuali calvizie conclamate, sulle ruggini del cuore e le rughe dell’anima, ebbene tempo ne è passato e ne è passato anche per Actarus, unico ma non invadente protagonista assoluto di questo brillante, effervescente romanzo di Claudio Morici, trentacinquenne romano, non alla prima prova narrativa. Chissà se davvero crescendo ed invecchiando ( non per forza maturando, magari marcendo) Actarus arriva a provare una certa ripulsione alla sua tuta di battaglia e desiderasse seriamente di diventare come Jeeg Robot o sentisse telefonicamente il pilota di Gundam. Certo, il dubbio è d'obbligo, per un eroe animato a suo tempo così perfetto. C’è sempre un momento anche per chi naviga, esplora e combatte per i più remoti e lontani spazi astrali di tornare con i piedi per terra. E capire che la propria stella preferita edificata con tutti i propri desideri, pulsioni ed aspirazioni, si fa davvero lontana, il costo del viaggio anche in economica si fa proibitivo, la speranza di trovarci un lavoro comodo ed un esistenza felice un desiderio arduo da realizzare. Non sempre l’atterraggio è morbido quando si torna a terra. E tutte le armi megagalattiche a disposizione, ultimo ritrovato della tecnologia, non sempre sembrano e sono atte se non ad attaccare almeno difendersi dalle molteplici insidie che offre la realtà. Anche se per tutta la vita con entusiasmo e coscienza si è stati fino adesso un cartone animato perfetto, al posto giusto ed al momento giusto. Ma c’è qualche cosa che non quadra, qualche conto che non torna, un sottile ma irrimediabile dubbio che attanaglia e stritola, morde e punge come un fastidioso tarlo dentro la vita, la società, con sua multiforme e contradditoria folla di "perché", con quell’aria vaga ed inquietante di ammalianti possibilità ma anche di beffardo inganno. Ebbene, tante domande ad una certa età si rivelano come. C’è l’età del “dunque”, del “ma poi”, del “mai sempre” ma anche del “come mai”. Actarus è atterrato, gli uomini non sono cartoni animati e Fleed chissà se aspetta ancora il ritorno del figliol prodigo In questo testo abbiamo la geniale proposizione di un Actarus in un epoca lontana e futuribile quale il 2075, ma così attuale, alle prese con drammi esistenziali e le spine dell’età adulta, i suoi contorcimenti interiori alla ricerca della verità, tormentato dal sogno leggendario eppure così a portata di mano della stella Fleed, che più che la sua terra natia appare come la chimerica e dimidiante metaforizzazione di tutti i sogni di Actarus e del mondo intero perlomeno di sesso maschile e limitrofo. Di contro, una moltitudine di indistruttibili resistenze. L’asettica, alienante ed indistruttibile corazza della struttura produttiva, retorica e stancante impersonificata dal dottore, un Procton in versione manager-direttore delle risorse umane. La reiterazione di frasi e termini per dare ritmo e riconoscibilità senza che ciò stritoli la narrazione in un unico circolo, la Peroni come emblema di una quasi povertà economica ed una certa disperazione interiore, come rifugio in una ubriachezza non molesta, un’evasione low cost e quasi di sapore sfigato anche per un pilota famoso per il 15% dei ragazzini da 7 a 14 anni. Ritmo vivace, brioso, ma non sterile o superficiale nei contenuti, una pesantezza che non si avverte seppure nella intensa e crudele realtà dei temi affrontati, il tutto con sapiente e calibrata misura dove le parti integrano e non ammorbano il tutto. Actarus è un reality nella fiction o una fiction nella reality, uno specchio che rispecchia se stesso un gioco che giochiamo tutti i giorni ma che non rilascia davvero giocare oggi, adesso, qui. E da sempre. La consapevolezza è un arma a doppio taglio, la purezza e l’innocenza si perdono irrimediabilmente al primo vagito anche se fai il pilota o se con un geniale meccanismo riesci a scolarti Peroni mentre sei in piena missione interplanetaria. Vari e disseminati i riferimenti alla visione del presente, in un clima decontestualizzato eppure così famigliare. Coerente ed ammaliante operazione creativa, composta ma non frigida, frizzante ma non aleatoria. Alienazione, reificazione, plusvalore, categorie certo dal sapore obsoleto e usurate da una utilizzo improprio o comunque improduttivo oggi, ma che nella loro usurata "significanza" diventano pur sempre simboli della attuale tentacolare e soffocante struttura sociale, diversificata e globalizzante in senso ristretto come quella che io e questo Actarus viviamo senza per questo dimenticare di vivere. Sono solito fare paragoni, dare qualche coordinata letteraria, cercare anche improbabili legami. Per stavolta dico che questo è un ottimo romanzo, furbo, ammiccante e con i suoi coerenti perchè. E non ne avevo letto mai, uno simile. Forse perché Actarus è uno. E tutti gli altri son nessuno.
24 settembre 2013
I fiori blu (Raymond Queneau)
Situazioni surreali. Ironia intelligente e corrosiva. Trovate spiazzanti.
Il male di vivere senza sogni secondo Raymond Queneau, l'eclettico scrittore francese che dagli anni Sessanta in poi ha regalato al pubblico brillanti ed originali narrazioni dove la sua abilità innata nel giocare semanticamente e morfologicamente con le parole lo ha ha fatto diventare un'insuperabile maestro.
Oltre questo "I fiori blu", uscito nel 1965 e tradotto in Italia da Italo Calvino, con cui nacque una solida stima reciproca, è forse l'opera meno giocos ae più amara rispetto ad altre produzione come Zazié nel metro e Icaro involato. Qui c'è sempre giocosità, ma il gioco a volte si fa duro, anche senza mai perdere quella gioiosa e lineare leggerezza nell'affrontare temi sociali.
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21 settembre 2013
Molto forte, incredibilmente vicino (Jonathan Safran Foer)
11 settembre 2001. Televisioni accese, torri che crollano. E che torri. Quelle gemelle, a New York, il centro del mondo anche se un poco troppo a nord. Il piccolo Oskar non potrà dimenticare, anni dopo. Suo padre era lì dentro e lì è rimasto. Non tornerà più. Se non come ricordo, suggerimento o presente assenza. Anche se la madre fa del tutto, non basta, ci mancherebbe. Un figlio ha biosgno del padre. O perlomeno ha bisogno di saperlo che c'è, anche per contrastarlo. A volte onirico e spiazzante, forse con eccessiva irruenza e poca sagacia, un racconto perimetrale ad dramma che ncora oggi rimane nella memoria collettiva. Il racconto di Jonathan Safran Foer su una vicenda ancora dentro i nostri occhi. E con molto altro di contorno.
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