29 ottobre 2014

Il vangelo di Giuda (Roberto Pazzi)


Giuda, l'impero romano, le paranoie dell'imperatore Tiberio e la minaccia chiamata Gesù Cristo. Ed è' la fine del mondo così come lo conosciamo. Così come, in tempi recenti ma purtroppo passati, uno storico gruppo statunitense quale i REM ed un artigianale ed ormai impomatato quasi-rocker di provincia come Ligabue si esibirono in una delirante ma sintomatica pantomima musicata che decretava con fare a volte nostalgico ma soprattutto satirico la fine del mondo. Magari pensavamo che fossero i primi, invece erano i secondi e probabilmente i terzi se non quarti perché prima di loro altri ne avevano cantato e scritto.Come per esempio lo scrittore Roberto Pazzi in questo romanzo.


Un impero immenso, un territorio assoggettato che mai più, nella storia occidentale avrà pari o superiori. Roma caput mundi, è il caso di dirlo. Dalle coste insidiose ma oramai succubi dell'Africa mediterranea fino alla germaniche lande nordiche. Una sorta di miracolo politico militare, ma che oramai è come il colosso di Rodi, ha i piedi d'argilla. Il tempo, l’intrigo politico aggravato e continuato, l'agiatezza e l'avidità stanno minando le fondamenta, come un terremoto perspicace e lungimirante che assesta poche mirate scosse con l'obiettivo non di un disastroso e fulmineo sisma, ma di far crollare tutto a poco a poco, pezzo dopo pezzo, regione dopo regione, istituzione dopo istituzione. Fra trecento anni infatti l’impero romano si sfalderà, liquefatto come neve al sole,diverrà memoria e nient’altro.
Siamo a “casa” dell'imperatore Tiberio, tra il 34 e il 37 dopo Cristo. Siamo nell’esilio voluto e dorato dove egli si è beatamente rinchiuso, vittima delle sue fobie e delle sue amene ed amare riflessioni L'imperatore romano, per secoli avvolto da un oscura tenebra di leggendaria ferocia e di quasi malata perfidia, compendiato con acuminata malafede e strattonato dagli storici di quegli anni come Svetonio, qui ci appare da anni come uno che sdegna Roma ed il Senato. Lui odia la capitale e le sue benestanti, concupiscenti e libidinose nefandezze delle stanze del potere, preferendo tessere le fila da lontano. Proprio lui, che di nefandezze è stato protagonista nonché laido esempio. Ma quest’uomo potente e temuto, odiato quanto rispettato, è vittima di una profonda crisi interiore e vaga per le camere deserte della sua dimora appartata e magnificente alla ricerca della verità impossibile: il male che lo stringe e logora è dentro di lui o semplicemente è il potere stesso che egli detiene, questo impero fastoso e riverito che però è come un malato terminale? Nessuna risposta, ma alcune incertezze, pesanti come macigni. Che rotolano ma non schiacciano il protagonista eppure sono lì, a levigare il pesante passato, presente e futuro della Storia.

Si respira densa e greve un’aria di disfattismo e decadenza, seppure siamo all’apice dell’espansione romana. Ma il romanzo non è solo una ricostruzione pseudo storica che riecheggia i celebri passi delle “Memorie di Adriano” della Yourcenar, gran libro esistenzialista sempre dedicato ad un imperatore romano. Perché nella vita di Tiberio irrompe una magnetica ed inossidabile donna, Cornelia Lucina. Ella è figlia di Cornelio Gallo, poeta romano messo al bando dal predecessore di Tiberio, il sommo Augusto e vive per una sola ragione, recitare a menadito al dominatore del mondo tutte le opere del padre ingiustamente condannato, con una chicca finale, il capolavoro assoluto: il Vangelo di Giuda, dedicato alle gesta di un (ancora) misterioso predicatore sconosciuto che ha incantato, miracolato e quasi sobillato le lontane terre di Giudea. Il suo nome ò Jeshua, ovvero Gesù. L’ardua e titanica impresa della memoria della misteriosa e profetica donna affascina, strega, soggioga ( si gioca e si perde) l’animo già turbato e paranoico dell’uomo più potente della terra allora conosciuta. E la storia che noi pensiamo di conoscere cambia corso, almeno secondo la mente visionaria dell’autore del libro in questione.

Sostanzialmente innervato su queste tre linee principali (la Storia come è stata tramandata, la rivisitazione di Tiberio come uomo e le vicende che riscriveranno la storia a noi tramandata di Jeshua) questo romanzo di Roberto Pazzi è un finissimo testo di cosiddetta fantastoria dove con una prosa dalla sintassi ricercata ci lasciamo coinvolgere e spingere fin dove non ci eravamo spinti. Le tre storie infatti risultano mirabilmente incastonate e i diversivi tendenti a dilatare l’impatto emotivo della storia principale che dà poi da il titolo al libro sono delle abili intercapedini narrative che danno sostanza e vigore alla intera costruzione romanzesca. Cosicché le vicende del futuro successore di Tiberio, ovvero il perturbato Caligola, non disperde e non dilata il romanzo ma anzi lo rafforza e cementifica.
Al di là dunque delle personali considerazioni sulla ipotesi del quinto Vangelo (che curiosamente qualche anno dopo questo romanzo verrà realmente scoperto, a dimostrazione di come fosse giusto l’assunto di Oscar Wilde secondo cui “la vita imita l’arte”) questa lettura sorprende ed in certi passi avvince e vuoi per l’ambientazione fastosa e di certo educazionale, vuoi per le capacità narrative dell’autore. 

E’un romanzo certo atipico per essere italiano, e con nessuna contingenza con operazioni analoghe come quella di Vassalli con "La notte del lupo". Pazzi , autore che viene da definire quasi di nicchia, sconosciuto ai più per la solita e deprecabile mania della moltitudine di affidarsi al mainstream, è poeta e narratore attivo già dalla metà degli anni Ottanta. Vive a Ferrara, è anche poeta e giornalista. La prima sconosciuta edizione di questo romanzo che andrebbe recuperato e divulgato per la sua fascinosa originalità architettonica, è datata 1989.
Quando guarda caso crollava il muro di Berlino e mentre Pazzi sgretolava le granitiche certezze evangeliche. Corsi e ricorsi.

Su ciao.it il    19.04.2009

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