Quante volte ci fermiamo, e cerchiamo spiegazioni. Anche se non c'è
spiegazione. E quanti giorni ci facciamo domande, ben sapendo che è impossibile
rispondere, rimanendo fedeli al nostro essere umani: diventare giganteschi
punti interrogativi.
Quanto rumore facciamo. Il rumore è il caos, l'ottenebrarsi, il buio, il non trovare se stessi, il dimenticare di esserci, il non accettarsi. Questo nostro mondo è una gigantesca, architettata, complessa, indistruttibile sinfonia suonata dal rumore.
E "Ninna nanna" è un silenzioso coltello che proverà a squarciare i veli della cacofonia imperante, del disordine invadente, del pensiero scemante a fronte del nulla dominante.
"Non conta la qualità. Conta il volume.
Non conta la musica. Conta vincere."
Il mezzo per distruggere il rumore e costruire un mondo silenzioso è tanto dolce quanto cruento e violento.
E la magia, in un mondo ipertecnico e avviato a meccanizzarsi su le onde lunghe dei byte e delle ram, proviene da antica saggezza (o non saggezza) popolare. Una ninna nanna, una filastrocca apparentemente debole e cantilenante, dona il sonno eterno a chiunque venga cantata, così, senza far rumore o dolore.
Una terribile, innocua, invincibile e letale arma. E la ninna nanna non ci fa dormire, separa chirurgicamente sogni e incubi delle nostre vite e mette in mostra lati più o meno oscuri, più o meno sporchi, più o meno affascinanti del nostro essere rumorosi e vivi, in pratica umani.
Ma chi (ri)conosce questo sublime artificio cosa ne farà? Lo subirà repentinamente, lo cavalcherà imperiosamente per sfamare la sua sete di dominio oppure cercherà di distruggerlo per essere medagliato al valor civile come esempio di umana buona condotta?
Carl Streator è il granitico e nevrotico protagonista.
Un giornalista assediato dai suoi rancori, dai suoi rimorsi e dai rumori che la vita moderna produce.
Senza volerlo trova una strada alternativa ai percorsi prefabbricati su cui ha deciso di percorrere la sua vita, una terza via, una soluzione finale. "E' esattamente così che la mia vita sarebbe potuta essere"
Suo nemico il grande fratello, quella sabbatica città fatta dai rumori della vita quotidiana:
"Ecco il Grande Fratello, che canta e che balla, che ti imbocca a forza perché la tua mente non sia tanto affamata da dover pensare"
E non ci sarà articolo che potrà raccontare questa fine che è un nuovo inizio.
L'avventura lo trascinerà via dai soliti brutali, noiosi, indecifrabili ed abitudinari riti e avvererà il suo sogno d'amore di riportare in auge un tenero, malinconico silenzio nella sua vita disastrata e macchiata da colpe così forti da non esser sue
L'agente immobiliare Helen Boyle, regina delle acconciature improbabili e maestra suprema di cinismo, sarà la sua accompagnatrice, perché rappresenta la donna del duemila senza ornamenti o frivolezze barocche fuori stagione. Non è classica, né rinascimentale. E' carne, pensiero, azione, materialità e maternità. Donna insomma. In un racconto pieno di valanghe di pensieri sterminati che si srotolano come le pagine di un rotocalco gossip ma che dilaniano l'essenza dell'uomo moderno, con fuorvianti trovate che si incastonano perfettamente come perle nella collana lucente che è questo racconto, ritmo non vertiginoso ma sostenuto, con brusche frenate ma anche altrettanto rapide accelerazioni su e giù per l'intera America, alla ricerca di un paradiso il cui premio è il silenzio .
E con gli altri due contraltari, Mona la streghetta e Ostrica il post hippie, questi quattro personaggi, sublimi nelle loro convinte nevrastenie, brandelli di lucidità in un turbinio di isterismi, daranno vita ad un blueseggiante, tenebroso noir, che non indulge, non romanticizza, non annoia ma stupisce e nel contempo regala briciole di pazza saggezza.
Situazioni al limite del paradossale, dell'esoterico, del paranormale che più che inquietudine recano al lettore sempre più amara consapevolezza, che quel che sta leggendo non è una mera fiction, una scheggia di fantasia surrealista, ma uno spaccato di mondo vero.
Con umiltà, ma anche con vigorosa e maschia fermezza, issare la bandiera della certezza del dubbio sistematico
"Alcuni sono ancora convinti che sapere equivalga a potere. Le dico che non ne ho idea"
"E' la mia generazione che cerca di distruggere la cultura imperante diffondendo il contagio". E' la teoria della "distruzione costruttiva".
Tenero ma vigoroso, surrealisticamente realista, mai banale, Chuck Palahniuk, altro scrittore intorno ai quaranta anni, ormai il vero "mezzo del cammin di nostra vita", è un altro degno esponente di questa novelle vague narrativa statunitense, che fatica ad attecchire nella nostra medievale Italia romanziera perché profondamente radicata nelle tradizioni stilistiche d'oltreoceano, così moderna, dirompente, cupa e vibrante che risulta ostica al lettore medio, alla ricerca di sicurezze e buoni sentimenti, sogni preconfezionati, brividi di plastica ed emozioni controllate, non radioattive e destabilizzanti.
Eppure Palahniuk va letto, come Lansdale, perché oltre allo stile mai involuto, è forse il più europeo di questa schiera di narratori rampanti, affrontando con impeto e cinismo i classici e mai risolti dilemmi esistenzialisti del nostro vivere quotidiano, ingegnandosi di avere sempre trovate narrative di primissimo piano e fuori dagli schemi, avanzando lucidamente nella trama partendo da una trovata geniale che resta la vera perla del romanzo. Sullo sfondo il suo atto d'amore: "America. Un assedio di idee. L'impeto della vita in tutta la sua potenza".
Con numerosi tributi nemmeno celati e riferimenti ad altri grandi romanzi, questo testo del 2002 ha ripetuto il successo straripante di "Fight club" (da cui l'omononimo film) ribadendo le indubbie qualità di questo ennesimo americano di provincia (Oregon) capace di perpetrare quell'ammaliante, sensuale e catartico miracolo che è dato da una lettura appagante. In conclusione insolito e feroce.
Quanto rumore facciamo. Il rumore è il caos, l'ottenebrarsi, il buio, il non trovare se stessi, il dimenticare di esserci, il non accettarsi. Questo nostro mondo è una gigantesca, architettata, complessa, indistruttibile sinfonia suonata dal rumore.
E "Ninna nanna" è un silenzioso coltello che proverà a squarciare i veli della cacofonia imperante, del disordine invadente, del pensiero scemante a fronte del nulla dominante.
"Non conta la qualità. Conta il volume.
Non conta la musica. Conta vincere."
Il mezzo per distruggere il rumore e costruire un mondo silenzioso è tanto dolce quanto cruento e violento.
E la magia, in un mondo ipertecnico e avviato a meccanizzarsi su le onde lunghe dei byte e delle ram, proviene da antica saggezza (o non saggezza) popolare. Una ninna nanna, una filastrocca apparentemente debole e cantilenante, dona il sonno eterno a chiunque venga cantata, così, senza far rumore o dolore.
Una terribile, innocua, invincibile e letale arma. E la ninna nanna non ci fa dormire, separa chirurgicamente sogni e incubi delle nostre vite e mette in mostra lati più o meno oscuri, più o meno sporchi, più o meno affascinanti del nostro essere rumorosi e vivi, in pratica umani.
Ma chi (ri)conosce questo sublime artificio cosa ne farà? Lo subirà repentinamente, lo cavalcherà imperiosamente per sfamare la sua sete di dominio oppure cercherà di distruggerlo per essere medagliato al valor civile come esempio di umana buona condotta?
Carl Streator è il granitico e nevrotico protagonista.
Un giornalista assediato dai suoi rancori, dai suoi rimorsi e dai rumori che la vita moderna produce.
Senza volerlo trova una strada alternativa ai percorsi prefabbricati su cui ha deciso di percorrere la sua vita, una terza via, una soluzione finale. "E' esattamente così che la mia vita sarebbe potuta essere"
Suo nemico il grande fratello, quella sabbatica città fatta dai rumori della vita quotidiana:
"Ecco il Grande Fratello, che canta e che balla, che ti imbocca a forza perché la tua mente non sia tanto affamata da dover pensare"
E non ci sarà articolo che potrà raccontare questa fine che è un nuovo inizio.
L'avventura lo trascinerà via dai soliti brutali, noiosi, indecifrabili ed abitudinari riti e avvererà il suo sogno d'amore di riportare in auge un tenero, malinconico silenzio nella sua vita disastrata e macchiata da colpe così forti da non esser sue
L'agente immobiliare Helen Boyle, regina delle acconciature improbabili e maestra suprema di cinismo, sarà la sua accompagnatrice, perché rappresenta la donna del duemila senza ornamenti o frivolezze barocche fuori stagione. Non è classica, né rinascimentale. E' carne, pensiero, azione, materialità e maternità. Donna insomma. In un racconto pieno di valanghe di pensieri sterminati che si srotolano come le pagine di un rotocalco gossip ma che dilaniano l'essenza dell'uomo moderno, con fuorvianti trovate che si incastonano perfettamente come perle nella collana lucente che è questo racconto, ritmo non vertiginoso ma sostenuto, con brusche frenate ma anche altrettanto rapide accelerazioni su e giù per l'intera America, alla ricerca di un paradiso il cui premio è il silenzio .
E con gli altri due contraltari, Mona la streghetta e Ostrica il post hippie, questi quattro personaggi, sublimi nelle loro convinte nevrastenie, brandelli di lucidità in un turbinio di isterismi, daranno vita ad un blueseggiante, tenebroso noir, che non indulge, non romanticizza, non annoia ma stupisce e nel contempo regala briciole di pazza saggezza.
Situazioni al limite del paradossale, dell'esoterico, del paranormale che più che inquietudine recano al lettore sempre più amara consapevolezza, che quel che sta leggendo non è una mera fiction, una scheggia di fantasia surrealista, ma uno spaccato di mondo vero.
Con umiltà, ma anche con vigorosa e maschia fermezza, issare la bandiera della certezza del dubbio sistematico
"Alcuni sono ancora convinti che sapere equivalga a potere. Le dico che non ne ho idea"
"E' la mia generazione che cerca di distruggere la cultura imperante diffondendo il contagio". E' la teoria della "distruzione costruttiva".
Tenero ma vigoroso, surrealisticamente realista, mai banale, Chuck Palahniuk, altro scrittore intorno ai quaranta anni, ormai il vero "mezzo del cammin di nostra vita", è un altro degno esponente di questa novelle vague narrativa statunitense, che fatica ad attecchire nella nostra medievale Italia romanziera perché profondamente radicata nelle tradizioni stilistiche d'oltreoceano, così moderna, dirompente, cupa e vibrante che risulta ostica al lettore medio, alla ricerca di sicurezze e buoni sentimenti, sogni preconfezionati, brividi di plastica ed emozioni controllate, non radioattive e destabilizzanti.
Eppure Palahniuk va letto, come Lansdale, perché oltre allo stile mai involuto, è forse il più europeo di questa schiera di narratori rampanti, affrontando con impeto e cinismo i classici e mai risolti dilemmi esistenzialisti del nostro vivere quotidiano, ingegnandosi di avere sempre trovate narrative di primissimo piano e fuori dagli schemi, avanzando lucidamente nella trama partendo da una trovata geniale che resta la vera perla del romanzo. Sullo sfondo il suo atto d'amore: "America. Un assedio di idee. L'impeto della vita in tutta la sua potenza".
Con numerosi tributi nemmeno celati e riferimenti ad altri grandi romanzi, questo testo del 2002 ha ripetuto il successo straripante di "Fight club" (da cui l'omononimo film) ribadendo le indubbie qualità di questo ennesimo americano di provincia (Oregon) capace di perpetrare quell'ammaliante, sensuale e catartico miracolo che è dato da una lettura appagante. In conclusione insolito e feroce.
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