16 ottobre 2014

Un posto anche per me - (Francesco Abate)

Peppino è grande. Smisurato. Dal profondo del suo solitario vagare ed il suo magico olfatto. Grande, ecco. Non solo per la sua stazza fisica oggetto di continui sberleffi sin da bambino. Vive di notte, viaggia in questa Roma spettrale e multietnica su bus stracolmi di storie ed indifferenza, sguardi atroci o vacui, aliti pestilenziali, si siede in fondo e si parla da solo, per farsi compagnia, rievoca, riesuma, non cede un centimetro alle arrembanti nostalgie e malinconie.
Ma dietro questa compassata arrendevolezza, dietro questo rassegnato buonismo si cela quella forza che i cattivi, gli stolti, quelli che hanno fatto fortuna o l'hanno avuta in eredità, non potranno mai avere. Si cela la voglia di vivere e viversi tutto, quando ce ne sarà l'occasione.


Peppino viene da una Sardegna archetipica ed ancestrale, dopo un burrascoso soggiorno presso una casa per orfani, grazie alle spericolate e sventurate imprese del padre Peter Pan. In quel luogo ha consumato l'indicibile assieme alla sua compagna di sempre, la indomabile Marisa, si sono scambiati dispetti, giochi, complicità, promesse. Ma non è successo quello che sarebbe bello potesse succedere. Poi si cresce e non è un gran bel affare. Roma è sterminata, il ristorante dello zio è come tutti i ristoranti periferici ma di buon prestigio.
E lui è destinato al trasporto delle cibarie nei quartieri bene, dove uomini e donne benestanti son troppo impegnati a festeggiare la noia, per potersi permettere di cucinare. Peraltro è chiaro che non è il cibo a fare da traino. Peppino trasporta le droghe che alleviano l'alienazione globale e l'indifferenza dei  suoi prestigiosi committenti.
 Ma non c'è paura e nemmeno rabbia, solo una dannata fottuta voglia di vivere che potrebbe far cambiare le cose

Niente Sardegna alla Soriga oppure alla Murgia, qui l'isola è metafora di una adolescenza dura, crudele ma libera, in confronto alla vita attuale. Scritto in maniera esemplare con uno stile che spesso ricalca il parlato e tende ad avere questo ritmo cantilenante a volte squarciato dalla poesia o dalla metafora, Un posto anche per me sebbene non abbia una trama di quelle che brillano per eccessiva originalità è un vibrante romanzo, con queste atmosfere dense e crepuscolari, queste vite borderline con cui Peppino si confronta, dai suoi parenti sordi e ciechi della Sardegna ai compagni di viaggio  più variegati della metropoli, tipo il profetico Cambazzu, il conducente che guida l'autobus notturno e spera prima o poi di svoltare, l'extracomunitario Whaid, che lo ha preso in simpatia e lo protegge  e così via dicendo. Una storia di lancinante solitudine che però è costantemente minacciata dalla tenue ma vibrante consapevolezza che Peppino, nonostante tutto vuole un posto dove possa vivere anche lui a discapito delle stortezze, della crudeltà e delle incongruenze della variopinta vita non sempre vitale che lo circonda.

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