Olive
è dappertutto, anche dove non può arrivare, anche dove non serve, nessuno lachiama, nessuno la vuole. Emigra e trasmigra
dalla sua vita a quelle di altri, senza soluzione di continuità. Per
lei l'importante non è piacere, far divertire, dare gioia. Per lei è
importante esserci, costi quel che costi. Ed allora visto che è
stata insegnante, cerca di insegnare la vita a chiunque, anche se la
sua pare un esistenza non proprio imparata, invadente ma non
generosa, viva anche quando pare morire, perché Olive di sentimenti
ne ha molti, specie castrati.
E
ce la pensiamo sempre diversa la provincia, invece è uguale in tutto
il mondo e soprattutto alla fine ne diviene il centro,m perché rappresenta in piccolo tutto i grande. E soprattutto crediamo pure che la vita ce la facciamo da
noi invece è costruita da un sacco di eventi. Quindi se questa
signora Olive, acida e talvolta paranoica, sembra una semplice e
fastidiosa strega malefica, ci fa bene. Invece alla fine la signora
Kitteridge è un poco di noi, davvero, anzi tanto. Anche perché a
Crosby, questo ameno luogo posto vicino al litorale del Maine
(regione forse non scelta a casa, il luogo prediletto per le
ambientazioni di King), Olive massacra di continuo il marito, ne vede
sotterfugi, ipocrisie, debolezze, ma poi alla fine si stringe a lui,
non si adagia, ne succhia il sangue perché sono insieme da una vita
e va be ne così, anche se qualche desiderio di andarsene lo ha
avuto, anzi, è stato troncato solo da un tragico evento, altrimenti
non sarebbe più accanto ora a lui, così malmesso, indifeso,
fragile. Ma Olive ha cercato pure di amare il figlio, in maniera
scomposta, fradicia, inutile, sino a sdraiarsi nel giorno del suo
matrimonio fallito sul suo letto coniugale, completamente posseduta
da un istinto di protezione che è solo possesso, insoddisfazione
eppure amore. Amore per come lo intende lei e forse tanti altri. Poi
c'è la cantante, gli aspiranti adulatori, gli studenti falliti,
insomma quel variegato mercato di sentimenti e pensieri che gli umani
pensano di poter controllare e poi ne vengono sopraffatti, perché
siamo decisi e non decisori, la casualità è una componente
importante e sottovalutata anche di ogni nostro respiro.
Perfetto
romanzo di racconti, fluido, duro, cinico ma a suo modo romantico,
questo delizioso testo della Strout è quello che io amo definire
perfetto. La riuscita unione tra forma e contenuto lo rende non solo
bello, ma folgorante, sebbene in realtà si parli di solitudini
rumorose, eventi che scappano, abbandoni, incomunicabilità. Un mondo
crudele a volte ravvivato da improvvisi squarci di sole, come un
cielo invernale che viene preso alle spalle ed a un tratto si
illumina. Denso, apocalittico ma senza morbosità, vero soprattutto.
Poi della realtà e del vero potremmo parlarne per anni, ma leggere
qualcosa che ti dà questa sensazione nutre l'anima.
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