14 dicembre 2014

Fuoco nella polvere (Joe R. Lansdale)

Certo che ci voleva solo Joe Lansdale. Siamo d’accordo che la letteratura è anche puro e mero fuoco d’artificio, una sorta di circo senza animali in clausura coattiva. E allora. Divertimento certo, ma intelligente, non un tronfio sconfinamento nel banale, nel triviale o nel mero meretricio di sapore volgarmente clownesco. Uno scopo che può (e deve, è necessario) anche diventare quasi un acrobatico esercizio di stile, divertissment senza secondi fini (almeno apparentemente) se non una certa tendenza all’amarcord archetipico e fanciullesco, dando forma e sostanza alle proprie letture eventualmente giovanili, quasi come dono e ringraziamento.



Fuoco nella polvere”, uscito nel 2001 e pubblicato in Italia solo nel 2008 dando alimento letterario al nutrito culto dei lettori italiani per questo poliedrico narratore statunitense del 1951, è una sorta di sagace omaggio senza pretese ma nemmeno senza bassezze infime a quella che in seconda di copertina viene definita la “selvaggia immaginazione” dello scrittore.

E’ chiaro. Riassumere senza incedere in passi falsi l’architettura della narrazione può risultare compito improbo. Ci può essere storia, significato e significante in una trama dove il protagonista è la testa di Buffalo Bill accompagnato da Toro seduto, dove sulle onde dell’oceano appaiono Cavallo Pazzo ed altri capi indiani, dove Tom Mix è un maestro di elefanti, dove i componenti di uno sgangherato e yankee “Wild West show”  vanno in Giappone a rapire il corpo di Frankenstein cercando di fuggire poi su dirigibili Zeppelin inseguiti dai caccia giapponesi che li mitragliano e li costringono all’ammaraggio per poi finire in un isola nella protervie grinfie di un dottor Momo che è l’esatta copia, nelle azioni e nei malanni, del mitico dottor Moreau inventato da  H.G. Wells peraltro esplicitamente citato nel libro?
Mi direte che ridurre a logica questa bolgia infernale e rutilante ma mai noiosa sarà improbabile. Anche perché compaiono nelle allegre vicende l’uomo di latta, una foca parlante, esseri mezzi uomini e mezzi animali che ricordano la combriccola orwelliana della fattoria e anche una memorabile ed efficace comparsata di Dracula, tanto per rendere ancora più magmatica e vorticosa la cifra postmoderna della struttura testuale   e la circuizione empatica per sfidare il lettore. Immagino che a questo punto direte basta. Eppure c’è anche il Nautilus e l’alterego di  Capitan Nemo, per conchiudere la faccenda, anche perché non poteva mancare Verne in questa rimpatriata delle fantascienza-fantastica letteratura che fu. Puro divertissement allora, come dicevamo, certo non privo di un suo spessore e di una certa classe come spesso accade nella prolifiche pagine vergate da questo autore statunitense, cui certo non manca l’arguzia e la sagacia, un ars scrivendi che si spalma e si istrioneggia tra diversi generi, una continua contaminatio volta solo a dar sfogo ad un ego prolifico ed immaginifico che nel complesso ha esiti per quanto mi riguarda più che apprezzabili anche quando i risultati complessivi sono tutt’altro che memorabili come mi pare chiaro sia in questo caso. Prendiamolo allora come sorta di post-it che Lansdale ha deciso di appiccicare con giocosa protervia sulla sua già copiosa produzione per dare lustro e memoria alle (sue) letture dei tempi andati e che non tornano più. Una sorta di galleria non raffazzonata ma certo non del tutto misurata dove possiamo recepire e tenere a mente quali e quanti e diversi siano stati gli incipit che hanno folgorato il narratore Lansdale e magari cimentarci in futuro a recuperare nelle sue svariate creazioni ( ad occhio oltre venti romanzi, più di duecento racconti ) quali e quanti siano le citazioni e decitazioni volute ed involute direttamente tratte dai romanzi che lo affascinarono. Un ottimo vademecum allora per chi lo frequenta spesso, non certo una introduzione al suo mondo per chi fino ad oggi lo ha ignorato. Il mio sembra un giudizio parsimonioso e quasi negativo, ma nel fondo non lo è e non lo sarà. So che le domande in genere, di fronte ad una narrazione di questo genere, possono essere di solito due: perché lo ha fatto o chi gliel’ho fatto fare. Diciamo che per quanto possa conoscere Lansdale, le risposte non ci sono oppure egli non si interroga e non si risponde. Lui scrive e qualcuno lo pubblica ed in linea di massima, me compreso, lo si legge con piacere. La letteratura a volte, come la vita, è un immenso ed infinito microcosmo fatto come una sorta di Aleph di borgesiana memoria, il luogo dove come per magia si trovano senza nessuna confusione tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli, posto che la terra è poi “solo” un cervello e il presunto mago è “solo” uno scrittore. 

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